Roma, 10 maggio 2023 – Non passa alla Camera il ripristino di Opzione donna integrale, come chiesto delle opposizioni. Dunque, sì "a specifiche iniziative per a contrastare il divario pensionistico di genere, attestato dai dati sull’andamento delle pensioni erogate dall’Inps", come indicato dalla risoluzione della maggioranza, ma niente rilancio della via d’uscita generalizzata per le lavoratrici con 58-59 anni di età e 35 di contributi che accettino, però, il calcolo interamente contributivo dell’assegno. Dura la reazione della leader Pd Elly Schlein: "Hanno tradito quelle lavoratrici che hanno lasciato esodate, noi continueremo a batterci per riestendere i requisiti". Il problema, è che opzione donna nella versione più larga significherebbe dover trovare ulteriori, ingenti risorse. Mentre limitando la formula, come è oggi, alle lavoratrici disoccupate, invalide, cargiver le domande sono destinate a arrivare al massimo a 500 a fine anno.
Il punto è che, sul fronte delle risorse, le notizie per la previdenza non sono delle migliori. Anzi. La rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione fa aumentare la spesa dell’Inps, mentre restano al palo le retribuzioni e, di conseguenza, i contributi versati. Cresce così il rischio di creare un buco nelle casse dell’istituto previdenziale, oltre a quello di penalizzare oltremodo i lavoratori che a differenza dei pensionati non recuperano il potere d’acquisto. L’allarme è stato lanciato dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che nel corso di un convegno sulle disuguaglianze salariali: "Scontiamo già quest’anno – ha detto – un gap di 22 miliardi a fronte di un esborso deciso con la legge di bilancio e di mancati incassi contributivi. Per quanto tempo possiamo permetterci questo accumulo di gap?"
Nella media del primo trimestre del 2023, nonostante il progressivo rallentamento della crescita dei prezzi, la differenza tra la dinamica dell’inflazione e quella delle retribuzioni contrattuali, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, rimane superiore ai sette punti percentuali. Le ricerche presentate ieri hanno fotografato un Paese nel quale cresce la disuguaglianza salariale tra giovani e anziani ma anche quella tra lavoratori a basso reddito e lavoratori ad alto reddito. Tra le paghe di giovani e anziani il gap è aumentato del 19% tra il 1985 e il 2019, nonostante l’età media si sia significativamente alzata da 35,8 a 42,7 anni e sia più difficile reperire sul mercato lavoratori giovani.