Roma, 9 settembre 2024 – Le pensioni minime, cavallo di battaglia storico di Silvio Berlusconi e oggi di Forza Italia, arriveranno nel 2025 almeno a quota 625-630 euro mensili. Ancora lontani dai mille euro promessi come obiettivo di legislatura, ma comunque pur sempre in aumento. A suffragare di numeri l’annuncio di Giorgia Meloni di qualche giorno fa sono i calcoli e le simulazioni che in queste settimane sfornano a getto continuo i tecnici del ministero dell’Economia con quelli del Lavoro e che possiamo qui anticipare.
Del resto, fonti bene informate fanno notare come non si potrebbe non garantire anche per l’anno prossimo l’aumento a quelle cifre, se si vuole evitare addirittura l’effetto contrario, quello di una riduzione degli importi rispetto al 2024. Dal cantiere previdenza della manovra arrivano rumors e indiscrezioni di una sorta di stallo sulla scelta di introdurre la nuova Quota 41 (sia pure nella versione ritoccata con il calcolo contributivo dell’assegno), con la possibilità, invece, di confermare e prorogare tutti i meccanismi di flessibilità attualmente operativi e con l’impegno a aprire una sorta di mega tavolo nel 2025 per una riforma complessiva delle pensioni. Sul piano degli interventi sugli importi dei trattamenti previdenziali, però, si fa strada una soluzione che ha al centro innanzitutto l’aumento delle pensioni minime.
«Le pensioni minime sono una delle nostre priorità, in generale le pensioni basse – ha avvisato, non a caso, la premier –. Abbiamo fatto una rivalutazione al 120% per le pensioni minime, che sono cresciute in modo significativo».
Meloni si riferisce innanzitutto a quello che è avvenuto quest’anno, in cui gli assegni sono stati adeguati all’inflazione in maniera piena solo per quelli fino a 2.270 euro mensili. Per gli importi superiori la rivalutazione è stata proporzionalmente più bassa. Le pensioni minime, però, hanno beneficiato di un super adeguamento straordinario, valido solo per il 2024, che le ha portate a quota 614,77 euro mensili.
La conferma dell’incremento straordinario, insieme con il nuovo adeguamento all’inflazione, pari all’1,6 per cento, porterebbe queste prestazioni a 625 euro. Una soglia che potrebbe salire a 630 per dare un ulteriore segnale ai pensionati più poveri. Mentre, se non venisse prorogato l’aumento una tantum del 2024ci si troverebbe di fronte, con il solo adeguamento annuale, a una riduzione degli importi. Una eventualità che suonerebbe come una beffa e che non viene neanche presa in considerazione. Arriviamo agli altri interventi del capitolo previdenza.
I vertici della Lega continuano a insistere sulla proposta fondata sullo storico cavallo di battaglia del Carroccio, Quota 41, intesa come anni di contributi da conquistare per lasciare il lavoro, a prescindere dall’età. Con il corollario del ricalcolo dell’assegno con in metodo interamente contributivo. Il che comporterebbe un taglio dell’assegno del 15-20 per cento, a seconda dei casi. Il punto è che questa soluzione dovrà tenere conto delle scarse risorse che il governo avrà a disposizione per la manovra per il 2025. Questo potrebbe portare a uno stop della misura per tenere ferma anche nel 2025 Quota 103, che per di più ha avuto un ruolo rilevante nel frenare la spesa pensionistica nell’anno in corso. Basti pensare che la stretta sulle regole di uscita prevista dalla legge di Bilancio per il 2024 ha fatto sì che nei primi sei mesi dell’anno le pensioni anticipate liquidate sono state 99.707 con un calo del 14,15% rispetto a quelle con decorrenza nello stesso periodo del 2023.
In questo quadro verrebbero confermati anche due strumenti che da anni permettono uscite anticipate per determinate categorie di lavoratori. Ci riferiamo all’Ape sociale, prevista per coloro che svolgono lavori gravosi o si trovano in specifiche condizioni di disagio (caregiver, invalidi, disoccupati). Ma ci riferiamo anche all’Opzione donna, che, sia pure entro margini ristretti, è tuttora operativa e sarà confermata anche nel 2025.