Domenica 22 Dicembre 2024
REDAZIONE ECONOMIA

Pensioni minime a 621 euro e incentivi per restare al lavoro: le ipotesi per la manovra 2025

Il governo vuole confermare l’intervento previsto per gli ultimi due anni e possibilmente andare oltre. Sembra sicura l’indicizzazione di tutti gli assegni

Un ufficio Inps (Foto Ansa)

Un ufficio Inps (Foto Ansa)

Roma, 5 ottobre 2024 – Un intervento nella manovra 2025 per cercare di portare le pensioni minime oltre i 621 euro. Oltre a confermare l’intervento per gli anni 2023 e 2024 che le ha fatte arrivare quest'anno a 614,77 euro, secondo quanto si apprende, il governo starebbe lavorando per un'aggiunta alla rivalutazione rispetto all'inflazione che dovrebbe essere dell'1% un ulteriore incremento.

L'assegno di importo pari o inferiore al trattamento minimo Inps (598,61 euro) sono state aumentate del 2,7% nel 2024, fino a 614,77 euro. La misura era stata decisa "in via transitoria" con la legge di Bilancio per il 2023 e dunque va confermata in modo che non si torni indietro nel 2025. Per l'aumento delle pensioni minime quest'anno la spesa prevista nella legge di Bilancio è stata di 379 milioni di euro.

Sembra invece che sarà assicurata l'indicizzazione piena per tutti gli assegni, a fronte di un'inflazione in forte calo (l'acquisita a settembre per l'anno era all'1%) dopo che negli ultimi due anni era stato deciso un taglio delle rivalutazioni per gli assegni più alti.

Uscita anticipata dal lavoro

Dovrebbero essere riconfermate con le regole stringenti stabilite per le uscite dal lavoro a partire da quest'anno, le misure Ape sociale, Opzione donna e Quota 103 (62 ani di età e 41 di contributi) con il ricalcolo contributivo.

La decisione di restare al lavoro pur avendo i requisiti per l'accesso alla pensione anticipata chiedendo di avere in busta paga la propria quota di contributi (il 9,19% della retribuzione a carico del lavoratore) – il cosiddetto Bonus Maroni (dal nome dell’allora ministro del Lavoro che fu il primo a introdurlo nel 2004) – nel 2024 è stata presa da poche centinaia di persone, quindi il governo sta studiando il modo di rendere questa possibilità più appetibile. Secondo quanto si apprende, tra le ipotesi al vaglio ci sono l'esenzione fiscale per questi contributi o la riduzione della tassazione (come è avvenuto per gli aumenti previsti dai contratti di secondo livello). Si potrebbe valutare anche il mantenimento della quota di pensione piena per chi decide di continuare a lavorare pur avendo la possibilità di andare in pensione, considerando per la parte in busta paga una contribuzione figurativa. Questa possibilità potrebbe essere estesa, oltre a chi ha i requisiti per Quota 103, anche a coloro che hanno maturato 42 anni e 10 mesi di contributi.

Nell'ultima edizione il bonus, che prevede il versamento dei contributi in busta paga a fronte della rinuncia dell'accredito di quei contributi sul proprio montante sul quale sarà calcolata la pensione,  è stato poco chiesto per la scarsa convenienza sotto il profilo fiscale. Per il 2024 si può chiedere dal 2 agosto, dopo i 7 mesi previsti di finestra mobile per chi esce con Quota 103 (dal 2 ottobre per i lavoratori pubblici).

Tfr in fondi pensione

Sempre sul fronte previdenziale si studia l'adozione di un nuovo semestre di silenzio assenso per il conferimento del Tfr alla previdenza integrativa. Ciò varrà non solo per i nuovi assunti ma anche per coloro che sono già occupati che qualora non avessero già conferito il Tfr maturando ai fondi e non volessero farlo dovranno dirlo esplicitamente. In mancanza di comunicazione il Tfr dovrebbe andare al fondo di previdenza della categoria.

Lavoratori pubblici

Si discute ancora anche della possibilità per i lavoratori pubblici che hanno compiuto 65 anni e hanno 42 anni e 10 mesi di contributi e che hanno quindi la possibilità di andare in pensione anticipata (41 e 10 per le donne) di restare al lavoro, su base volontaria, senza che l'amministrazione possa mandare in pensione come avviene ora. In pratica si uniformerebbe il sistema del pubblico a quello del privato per cui il datore di lavoro può mandare in pensione solo all'età di vecchiaia (67 anni) mentre è il lavoratore che decide di andarci prima se ha maturato i requisiti per l'anticipata.