Roma, 18 agosto 2018 - Il disegno di legge giallo-verde sul ricalcolo delle cosiddette pensioni d’oro è di fatto morto e sepolto: a settembre sarà completamente riscritto. Fonti leghiste vicine al dossier fanno sapere senza mezzi termini che agli inizi del prossimo mese l’intero impianto della proposta, firmata anche dal capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari, ma nata e preparata in casa 5 Stelle, sarà riveduto e corretto totalmente. A spingere in questa direzione, un dossier predisposto dagli esperti di previdenza del Carroccio finito sul tavolo di Matteo Salvini: dossier che dimostra come l’operazione ricalcolo, così come costruita nel pacchetto grillino, finirebbe per penalizzare radicalmente pensionati e pensionandi di categorie rilevanti, come donne, militari, forze dell’ordine, quadri e dirigenti dell’industria del Nord. Insomma, per dirla con l’ex ministro del Lavoro, Roberto Maroni, si avrebbe una «forte penalizzazione dei lavoratori precoci, quelli delle fabbriche del Nord, un nuovo salasso al Nord produttivo per finanziare il solito becero assistenzialismo di matrice clientelare. E, dunque, cara Lega, evitiamo lo scempio di un bis del decreto dignità».
La proposta presentata da Francesco D’Uva, capogruppo grillino a Montecitorio, e dal leghista Riccardo Molinari, dunque, è già finita su un binario morto. Lo stesso esponente del Carroccio, d’altra parte, è stato netto: «Bisogna trovare un correttivo. La Lega pensa a un taglio che porti un contributo di solidarietà delle pensioni più alte a favore di quelle basse. Se la legge è scritta male, comunque, potremo fare meglio in Commissione». Non solo: «Posso assicurare che nessuno vuole espropriare le pensioni, né creare svantaggi a chi ha quella contributiva. Non va neppure penalizzato chi è andato in pensione prima con una quota di retributivo maggiore, visto che lo prevedeva la legge». Il problema è che la soluzione ipotizzata nel disegno di legge e più volte rilanciata da Di Maio prevede proprio il ricalcolo delle pensioni sopra i 3.700-3.900 euro netti mensili (4 mila euro, tasse locali incluse). Un ricalcolo non legato ai contributi versati, come sostenuto da Di Maio, ma all’età di uscita: più questa è lontana dai parametri di età fittizi indicati in una tabella allegata alla proposta, maggiore sarà il taglio, fino al 20 per cento della prestazione.
Il risultato non solo è ben differente dal contributo di solidarietà provvisorio (per due, tre anni), chiesto e invocato dalla Lega, solo sulla parte eccedente i 4 mila euro netti, ma finisce per penalizzare larghe fette dei lavoratori del Nord. E un rapporto sugli effetti negativi del provvedimento è finito sulla scrivania di Salvini, con un elenco di categorie che verrebbero penalizzate: l’80% nel Nord, perché è in quell’area che si sono concentrate le pensioni di anzianità del passato. A questo punto, come risulta da fonti bene informate, Salvini ha imposto uno stop all’operazione. Si riparlerà del provvedimento a settembre, ma con altre soluzioni. Tanto più che l’ipotesi originaria, nata in casa 5 Stelle e predisposta dagli stessi consiglieri di Di Maio che hanno messo a punto il Decreto Dignità (a cominciare da Pasquale Tridico) insieme con i tecnici dell’Inps di Tito Boeri, è ben lontana anche dal ricalcolo contributivo e si traduce in un taglio secco e retroattivo legato all’età effettiva di pensionamento.