Roma, 16 ottobre 2024 – Rivalutazione piena delle pensioni, senza la sterilizzazione degli aumenti per i trattamenti più elevati, come è accaduto negli ultimi due anni, con l’incremento delle minime. E incentivi fiscali per restare al lavoro. Sono le due novità principali del pacchetto previdenziale della manovra. Ma, per altri versi, non è da meno la conferma dell’intera batteria di strumenti di flessibilità in uscita, da Quota 103 all’Ape sociale, dal canale cosiddetto “precoci” a Opzione donna. Mentre sul versante della previdenza complementare si aprirà una nuova stagione di silenzio assenso per sostenere l’adesione dei giovani ai fondi pensione. Almeno per il 2025, dunque, rientrano nel cassetto i più ambiziosi progetti di Quota 41 e di altre soluzioni destinate a favorire una maggiore libertà di decisione dei lavoratori.
La rivalutazione piena e le minime
Partiamo da quello che è avvenuto quest’anno. Gli assegni sono stati adeguati all’inflazione in maniera piena solo per quelli fino a 2.270 euro mensili. Per gli importi superiori la rivalutazione è stata proporzionalmente più bassa. Le pensioni minime, però, hanno beneficiato di un super adeguamento straordinario, valido solo per il 2024, che le ha portate a quota 614,77 euro mensili. La conferma dell’incremento straordinario, insieme con il nuovo adeguamento all’inflazione, pari all’1,6 per cento, porterà queste prestazioni a 625 euro. Una soglia che potrebbe salire a 630 per dare un ulteriore segnale ai pensionati più poveri. Mentre, se non fosse stato prorogato l’aumento una tantum del 2024 ci si sarebbe trovati di fronte, con il solo adeguamento annuale, a una riduzione degli importi. Una eventualità che sarebbe suonata come una beffa.
Per tutti gli altri trattamenti, oltre le minime, a differenza degli ultimi due anni l’adeguamento al costo della vita sarà pieno, come ha assicurato il Ministro Giancarlo Giorgetti. Il che significa che, sostanzialmente, l’incremento sarà pari all’1,6 per cento circa per tutte le rendite, a prescindere dall’importo.
Incentivi per chi resta: il bonus Maroni
Giorgetti conferma il mantenimento e l’estensione, anche in forma riveduta, del bonus Moroni. "Stiamo perfezionando quelli che sono gli incentivi di carattere fiscale a chi vuole rimanere sul luogo di lavoro – spiega - Questo risponde non semplicemente a un’esigenza di finanza pubblica. Lo dico anche con riferimento a determinate qualifiche che nel mondo pubblico cominciano a diventare assai difficili da rimpiazzare e da colmare, soprattutto quelle di carattere tecnico”.
Il riferimento è al meccanismo anche oggi operativo in base al quale ai lavoratori dipendenti, del settore pubblico o privato, che abbiano raggiunto, o che raggiungano i requisiti di 62 anni di età e 41 anni di contributi, sarà permesso, se restano in servizio, di chiedere al datore di lavoro di trasformare in stipendio la quota di contributi a loro carico: si tratta del 9,19 per cento della retribuzione, che, per giunta, sarà detassato. Un incentivo che potrebbe essere esteso anche a coloro che, appartenenti a determinate categorie del pubblico impiego, decidessero di restare fino a 70 anni, per i quali verrà eliminato l’obbligo del pensionamento d’ufficio a 65 anni.
Ape sociale e Opzione donna
In questo quadro vengono confermati anche gli strumenti che da anni permettono uscite anticipate per determinate categorie di lavoratori. Ci riferiamo innanzitutto a Quota 103, frutto della somma tra 62 anni di età e 41 di contributi. Ma ci riferiamo anche all’ape sociale, prevista per coloro che svolgono lavori gravosi o si trovano in specifiche condizioni di disagio (caregiver, invalidi, disoccupati). E a Opzione donna, che, sia pure entro margini ristretti, è tuttora operativa e sarà confermata anche nel 2025.