Roma, 13 ottobre 2024 – Far crescere l’età pensionabile effettiva, che oggi è a 64,4 anni, senza aumentare quella legale, che è fissata a 67 anni. Sembra essere questo l’obiettivo del governo, come indicato dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Come fare per conquistarlo? Una delle vie per tenere questo risultato è fare restare in servizio nella Pubblica amministrazione i dipendenti che raggiungono i requisiti per il pensionamento d’ufficio.
Le attuali regole, infatti, a differenza del settore privato, fanno sì che le Pubbliche amministrazioni facciano scattare la tagliola del pensionamento d’ufficio una volta raggiunti i 65 anni.
L’età di pensionamento
Nel biennio 2013-2014, durante i governi Letta e Renzi, con due provvedimenti sono state limitate le possibilità di continuare a lavorare nella Pa, abolendo il cosiddetto trattenimento in servizio (che permetteva di restare al lavoro per altri due anni dopo l’età pensionabile) e prevedendo che la Pa potesse pensionare d’ufficio coloro che raggiungessero la massima anzianità contributiva (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
Il tutto fissando il criterio che il limite ordinamentale per l’attività del lavoro pubblico fosse a 65 anni di età, salvo che il lavoratore non avesse maturato il diritto alla pensione.
La pensione d’ufficio
Attualmente, dunque, le Pa devono mandare in pensione d’ufficio a 65 anni coloro che hanno maturato un qualsiasi diritto alla pensione: a cominciare da coloro che a 65 anni hanno un livello di contributi come indicato in precedenza. Se si hanno 65 anni, ma non le altre condizioni relative ai contributi, si può rimanere oltre i 65 anni, fino a 67 anni, quando scatta la tagliola dell’età pensionabile.
Più soldi in busta paga
Le novità, per favorire il mantenimento il servizio, potrebbe essere doppia: da un lato, verrebbe eliminato il vincolo dell’uscita a 65 anni e, dall’altro, coloro che restano e che, a quel punto, possono restare potrebbero ottenere una busta paga più elevata, con l’attribuzione al lavoratore, sotto forma di stipendio, della sua quota di contributi.