Domenica 22 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Come si calcolano i contributi per la pensione. Trattenute, chi paga? Datore e lavoratore

Ecco chi paga, e come, le quote legate allo stipendio che andranno a comporre la pensione

Sportello pensione (Imagoeconomica)

La prima e fondamentale via di finanziamento della pensione è, dunque, quella dei contributi che si versano obbligatoriamente agli enti previdenziali, da parte del datore di lavoro e del lavoratore. Cerchiamo allora di capire innanzitutto quanto e su che cosa si paga.

Trattenute in busta paga

I contributi che vengono trattenuti in busta paga o che si tirano fuori direttamente, se si svolge un’attività autonoma, sono calcolati in percentuale rispetto alla retribuzione che si percepisce o al reddito che si produce.

Il caso dei lavoratori dipendenti

Vediamo meglio il caso del lavoro dipendente. Se si è lavoratori dipendenti pubblici o privati la contribuzione è calcolata in percentuale sulla retribuzione lorda ed è a carico per oltre i due terzi del datore di lavoro e per meno di un terzo a carico del lavoratore.

Quanto versa il lavoratore e quanto il datore

La cosiddetta aliquota contributiva di finanziamento (la percentuale, appunto, da applicare sullo stipendio lordo per conteggiare i contributi dovuti) è pari, salvo eccezioni e agevolazioni, al 33%: il 23,81% lo versa il datore di lavoro, il 9,19% lo pagano i lavoratori, anche se a trasferirlo all’istituto previdenziale è sempre l’azienda (che opera, così si dice, come sostituto d’imposta). In pratica, trattiene la quota del lavoratore dalla busta paga, la somma alla propria e trasferisce il totale all’ente.

Cos'è la prima fascia di retribuzione pensionabile

Attenzione, però. Ci sono due o tre accorgimenti da tenere presenti. Il primo si chiama in gergo “prima fascia di retribuzione pensionabile”. In pratica, quando la retribuzione annua va oltre un determinato importo – la “prima fascia” - scatta, sulla porzione che supera il limite, una percentuale aggiuntiva, che grava su sul lavoratore, pari a un punto: su quella “fetta” di stipendio si paga il 10,19%. Il limite è rivalutato di anno in anno e per il 2023 è fissato a 52.190 euro lordi (4.349 euro mensili).

Cos'è il massimo imponibile

Ancora attenzione. C’è un altro “tetto” da tenere in conto, che si chiama “massimale imponibile”. Ma questa volta funziona al contrario, nel senso che fa risparmiare. Coloro che sono stati assunti dal 1° gennaio 1996 (i contributivi puri) versano solo fino a un certo limite di retribuzione. Questo confine è anch’esso adeguato di anno in anno e per il 2023 è posto a 113.520 euro. In pratica, sulla parte di stipendio che eccede quella cifra non si pagano contributi.

Cos'è il minimale imponibile

E con le soglie non è finita. Ve ne è almeno un’altra da ricordare o quantomeno da considerare. Si definisce “minimale imponibile” e nasce dal fatto che è stabilito che la retribuzione lorda sulla quale si calcolano i contributi – normalmente individuata dai contratti collettivi - non possa comunque essere inferiore a un certo importo-base determinato dalla legge per ciascuna giornata di lavoro come “minimale di retribuzione giornaliera”. Ora, se la paga è più elevata di questo limite, si applicano le percentuali e finisce lì. Se, però, è più bassa, ecco che i contributi si conteggiano comunque su quella paga minimale. Per il 2023 il limite minimo di retribuzione giornaliera è di 53,95 euro.

La data spartiacque

Questo ci conduce a un ulteriore ingranaggio da conoscere. Se è vero, infatti, che dal 1° gennaio 2012 si applica solo il metodo contributivo, sappiamo che fino a quella data-spartiacque valeva quello retributivo per coloro che avevano almeno 18 anni di attività al 31 dicembre 1995. Non solo. Le stesse quote versate fino a dicembre di diciassette anni fa sono comunque conteggiate con il vecchio congegno anche per coloro che lavoravano già prima del 1996.

Accrediti a settimana di retribuzione

Ebbene, è utile allora sapere, quantomeno per i versamenti passati, che i contributi erano e sono valutati e accreditati a settimana di retribuzione. Ma vengono aggiudicate tutte le settimane che compongono un anno (cinquantadue) solo a condizione che per ciascuna settimana vi sia stata corrisposta una retribuzione lorda pari almeno al 40% del trattamento minimo mensile Inps valido nell’anno di riferimento, che, per il 2023, è esattamente uguale a 227,18 euro a settimana, che poi è il confine che abbiamo appena visto. Altrimenti si avrà in cascina un numero di settimane ridotto in proporzione.