Bologna, 6 maggio 2023 – I prezzi della pasta alle stelle rischiano di far cambiare gusti e dieta agli italiani. Abitudini già messe a rischio da un rosario di altri rincari alimentari che negli ultimi mesi hanno continuato a incidere sul carrello della spesa, come conseguenza di una corsa dei prezzi che ancora non si è placata. A lanciare l’allarme sull’effetto che i rincari stanno avendo sulle vendite sono le associazioni dei commercianti. "Preoccupa la ripresa dell`inflazione", ha ammesso alla convention di Forza Italia Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio. Una fiammata "provocata soprattutto dal caro energia". Avanti, dunque "col taglio del cuneo fiscale per sostenere il potere d’acquisto di famiglie e lavoratori. Senza dimenticare, però, la detassazione degli aumenti contrattuali che consentirebbero nuova occupazione". E di rincari di pane e affini parla anche Daniele Erasmi, presidente nazionale della Fiesa Confesercenti: "Il caro-pasta sta incidendo fortemente sulle vendite, che risultano in calo di oltre il 10% in volume negli ultimi tre mesi".
Una caduta dei consumi che viene segnalata dai rappresentanti delle altre associazioni della distribuzione commerciale. Il punto è che i prezzi della pasta (fresca e secca) stanno salendo ininterrottamente da giugno 2021 (e da allora a marzo 2023 sono rincarati del 37%) nonostante secondo i dati Ismea, al contrario, il costo del frumento duro nazionale da aprile 2022 ad aprile 2023 sia sceso del 28,3%, e il frumento duro extra Ue addirittura del 34,4%.
Rincari allargati a tanti altri prodotti del paniere degli italiani e che secondo l’Istat sono i primi indiziati di un peggioramento delle vendite al dettaglio. A parità di totale sullo scontrino, infatti, a ergere è il calo del volume degli acquisti alimentari, in flessione dello -0,7% contro lo -0,1% dei beni non alimentari. Cifre che si riflettono nei numeri delle vendite al dettaglio dello scorso marzo, in raffronto con lo stesso mese dell’anno precedente: in un anno, infatti, lo scontrino della spesa alimentare è diventato più caro del +7,7%, ma il volume dei beni acquistati è crollato del -4,9% .
Spendere di più per comprare meno, dunque, con la conseguenza di tagliare i propri consumi, tutti, anche quelli alimentari. I numeri dell’Istat certificano come sia proprio l’impatto dei rincari a imprimere un peggioramento delle vendite al dettaglio. Per il Codacons, "al netto dell’inflazione e considerata la spesa per consumi delle famiglie, gli acquisti calano in volume per complessivi 21,8 miliardi di euro annui, con una minore spesa pari in media a -848 euro a famiglia" avverte l’associazione che chiede al governo di "intervenire con urgenza per calmierare i listini e salvare i bilanci delle famiglie".
Assoutenti punta il dito sul caro-cibo e invoca un "decreto anti-inflazione" che includa il rafforzamento del Garante dei prezzi e un azzeramento dell’Iva sui generi di prima necessità. "Al netto dell’inflazione - calcola Assoutenti - la spesa alimentare degli italiani cala per 7,1 miliardi di euro su base annua, con una riduzione media di 377 euro in una famiglie con due figli". Gli italiani "rinunciano ai generi di prima necessità, riducono la quantità di cibo nel carrello e fanno ricorso ai discount" afferma l’Adoc auspicando che la convocazione della Commissione di allerta rapida sui prezzi, in programma l’11 maggio, sia "l’occasione per approfondire la dinamica inflazionistica che sta bruciando stipendi, pensioni e risparmi". A chiedere l’intervento del governo sono anche le organizzazioni del commercio con Federdistribuzione che ritiene prioritario tutelare il potere d’acquisto alle famiglie per favorire "la ripresa della domanda interna". È da qui, da che mondo è mondo, che passa la ricchezza di un Paese.