Venerdì 29 Novembre 2024
LUCA RAVAGLIA
Economia

Partite Iva, un guida per il 2023: dalla flat tax ai bonus da non perdere

Incentivi, vantaggi e criticità per un popolo in deciso calo: gli iscritti sono scesi dell'8,73% nell'ultimo anno

Il 2023 sarà un anno denso di novità per il popolo delle partite Iva, una galassia che al 31 dicembre contava 501.491 iscritti. Un numero importante, che però è in deciso calo: -8,73% in 12 mesi secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze. La ragione sta prima di tutto nelle forti difficoltà incontrate dal settore a partire dalla pandemia e reiterate in seguito, a causa dell’esplosione dell’inflazione.

Partita Iva, foto generica
Partita Iva, foto generica

Sommario

Gli incentivi

In quest’ottica dallo Stato sono stati riconosciuti incentivi e agevolazioni di vario tipo, messi sul tavolo sia dal Governo Draghi e ancora attuali, sia dall’Esecutivo Meloni, che hanno lo scopo di fornire una protezione a chi continua a navigare in acque molto agitate.

La Flat Tax

Il provvedimento simbolo a tutela delle partite Iva è quello della ‘Tassa piatta’, un’aliquota fissa del 15% sul reddito annuo. La novità è l’innalzamento del tetto massimo dei ricavi, che da 65.000 euro è stato portato a 85.000 euro. Serve però precisare che la Flat Tax non si può applicare a tutti, ma solo a una platea di 140 mila autonomi potenzialmente interessati (artigiani, commercianti, liberi professionisti, consulenti, micro imprenditori e comunque titolari di partite iva individuali). Sono per esempio escluse le società di persone.

Vantaggi e criticità

Ovviamente il primo punto a favore della norma riguarda l’individuazione di una percentuale decisamente inferiore rispetto alla tassazione ordinaria, anche se chi entra in questo regime perde la possibilità di mettere in detrazione gli acquisti effettuati a favore dell’attività lavorativa.

Le proiezioni della Cgia

C’è poi da segnalare uno studio pubblicato a inizio anno dalla Cgia di Mestre, in base al quale pur con l’innalzamento della soglia fino a 85.000 euro di fatturato, gli autonomi continuerebbero a pagare più tasse rispetto ai lavoratori dipendenti. In base alla simulazione effettuata, soltanto nella fascia di reddito compresa tra i 60 e 65.000 euro le partite Iva che si avvalgono della tassa piatta pagherebbero meno. “In tutte le altre comparazioni – si legge nella nota diffusa - vale a dire tra i 10.000 euro di reddito fino a 55.000 euro, gli autonomi pagano sempre più di impiegati e operai, con punte tra i 3.760 e i 3.875 euro all’anno nella fascia di reddito tra i 25 e i 30 mila euro, prelievo aggiuntivo che sale attorno ai 4.200 euro con redditi tra i 15 e i 20 mila euro. Se, poi, il confronto viene effettuato tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la Flat Tax, il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta con punte, tra i 60 e i 65 mila euro di reddito, di oltre 6 mila euro all’anno. La situazione cambia segno a partire dalla classe di reddito pari a 60 mila euro. In questo caso gli autonomi con Flat Tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro. Se la comparazione avviene con un reddito da 65 mila, il vantaggio sale a 1.285 euro”. Al di fuori dello studio della Cgia, una delle obiezioni più spesso citate in relazione a questo approccio è il fatto che a fronte di un maggiore contributo in termini di tassazione, il titolare di partita iva versa meno contributi previdenziali. Sommando i due dati emergerebbe un reddito netto maggiore. Valutazione in ogni caso opinabile in un regime pensionistico contributivo, che porterà dunque il professionista a disporre di un assegno da pensione inferiore rispetto a quello del dipendente.

Le eccezioni

Se nel corso di un anno contributivo il soggetto che beneficia delle Flat Tax supera il tetto degli 85.000 euro si aprono due possibili scenari: nel caso in cui reddito rimane inferiore ai 100.00 euro, si può restare all’interno del regime forfettario, adeguando ovviamente la tassazione per quanto riguarda la quota in eccesso. Nel caso in cui invece si dovessero superare anche i 100.000 euro, il contribuente tornerebbe in automatico nel regime ordinario.

Periodo di competenza

L’arco temporale dal primo gennaio al 31 dicembre riguarda le date nelle quali sono state effettuate le prestazioni oggetto di fattura. Fa testo la data del documento. Se questo viene emesso entro il 31 dicembre, rientrerà nell’anno in corso, a prescindere dalla data nella quale verrà effettuato il pagamento.

Altre agevolazioni

Riguardo ai bonus, quello di maggiore entità è l’Iscro, cioè l’Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale Operativa, istituita per aiutare i titolari di partita Iva nel periodo pandemico come sorta di supporto equivalente alla cassa integrazione dei lavoratori dipendenti. E’ stata introdotta dalla Legge di Bilancio del 2021 con validità fino al 2023 e si applica a tutti i titolari di partita Iva aperta da almeno 4 anni, in regola coi versamenti previdenziali e con un reddito da lavoro autonomo in riferimento all’anno precedente alla domanda, inferiore a 8.145 euro e minore del 50% rispetto a quelli dei tre anni precedenti. L’erogazione è curata dall’Inps, ha una durata massima di sei mesi e può essere richiesta una sola volta. Nel 2022 sono stati riconosciuti assegni variabili da un minimo di 254,75 a un massimo di 815,20 euro al mese. Nel 2023 l’ordine di grandezza dovrebbe essere analogo.

Bonus da 200 e 150 euro

Anche i titolari di partita Iva nel 2022 hanno avuto la possibilità di presentare domanda per il bonus una tantum di 200 euro in estate (per chi aveva redditi inferiori a 35.000 euro) e di eventuali ulteriori 150 euro in autunno (in questo caso la soglia scendeva a 20.000 euro). Fermo restando il fatto che il periodo per prestare domanda è scaduto, chi non ha ricevuto il pagamento perché la sua richiesta non è andata a buon fine, ha una finestra (ancora aperta) di 90 giorni per presentare un’istanza di riesame della partica. I 90 giorni possono essere conteggiati in due modi differenti: a partire dalla pubblicazione dell’informativa Inps, e quindi entro il 19 aprile, oppure a partire dalla data in cui si è entrati a conoscenza dell’esito negativo, se questa risulta essere successiva.