È morto improvvisamente l’altra notte a Noto, in Sicilia, dove viveva da tempo, Arturo Ferruzzi, terzogenito di Serafino, fondatore nel dopoguerra dell’omonimo impero agroindustriale portato alla ribalta nel mondo negli anni Ottanta da Raul Gardini. Era sposato con Maria Cristina Busi e aveva 84 anni; i funerali si svolgeranno martedì nella basilica di San Francesco, a Ravenna.
Arturo Ferruzzi è sempre stato schivo delle luci della ribalta, pur rivestendo, a partire dagli anni Sessanta, il ruolo di azionista di maggioranza (34 per cento) all’interno della cassaforte (la ‘Serafino Ferruzzi srl’) dell’impero creato da Serafino e dove gli altri azionisti erano le tre sorelle, Idina, Franca e Alessandra. Un atteggiamento di riservatezza che la famiglia evidenzia oggi sottolineando come Arturo abbia "portato avanti l’opera del padre curando con competenza e passione lo sviluppo del mondo agricolo e contribuendo in modo concreto alla creazione di un impero riconosciuto in tutto il mondo".
Un atteggiamento riservato che fu costretto a mettere da parte nel giugno del 1991 quando, esautorato Raul Gardini dal comando della holding Ferfin, ne divenne presidente con l’altro cognato Carlo Sama, marito di Alessandra, nel ruolo di amministratore delegato della controllata Montedison. Una ribalta purtroppo disastrosa perché coincise con il momento del naufragio dell’impero, sotto il peso di un indebitamento di 46mila miliardi di lire aggravato peraltro dall’inchiesta sui fondi neri che stava conducendo la Procura di Milano e nel cui contesto il 23 luglio 1993 Raul Gardini si uccise.
Quando il 10 dicembre del 1979 l’aereo privato su cui Serafino Ferruzzi stava rientrando da Londra precipitò in fase di atterraggio all’aeroporto di Forlì avvolto dalla nebbia non fu Arturo a prendere in mano le redini, bensì Raul Gardini, il marito di Idina che era entrato nei gangli della società fin dal 1961 e che già si occupava del fronte industriale, mentre Arturo era concentrato sul fronte delle attività agricole. Un settore che è stato peraltro punta di diamante dell’impero negli anni Ottanta quando Gardini avviò il piano per lo sviluppo di fonti energetiche pulite utilizzando materie prime di origine agricola, la soia in primo luogo, per produrre etanolo e bioplastiche, un piano che trovò porte ben chiuse per l’intervento dei detentori degli interessi petroliferi. Nel contempo la ‘Ferruzzi’ aveva già ampliato il raggio d’azione sia con acquisizioni di svariati settori di interesse a cominciare dal cemento con la Calcestruzzi sia sbarcando definitivamente negli Stati Uniti.
Quando nel 1987 Gardini decise di avviare la scalata alla Montedison, costata duemila miliardi di lire (in quel frangente nacque la ‘’Ferruzzi Finanziaria’, denominata Ferfin in Borsa, la holding che racchiudeva a quel punto il secondo gruppo industriale italiano), la famiglia Ferruzzi e Arturo con la sua quota di maggioranza diedero il via libera sia pure con qualche riserva, ma alla successiva mossa d’azzardo messa in campo da Gardini fu acceso il semaforo rosso. È il 1989, l’anno del motto di Raul Gardini ‘la chimica sono io’, è l’anno della nascita di Enimont, ovvero il matrimonio a metà fra Eni e Montedison. Un matrimonio breve, turbolento, continue le lotte con il potere politico e la famiglia impose a Gardini di rivendere le azioni a Eni. Fu rottura completa e nel giugno del 1991 i Ferruzzi esautorarono Gardini dal Gruppo: Arturo ne divenne presidente, Carlo Sama amministratore delegato.
Ma l’impero stava scricchiolando sotto il peso dell’indebitamento e quando nel bilancio del ‘92 fu deciso di ‘sbiancare’ le enormi perdite, per quasi duemila miliardi, frutto anche di azzardi di Gardini alla Borsa della soia di Chicago e mascherate da ardite operazioni finanziarie, le banche creditrici e Mediobanca strinsero il laccio ed esautorarono gli amministratori di Ferfin a cominciare dall’incolpevole Arturo Ferruzzi. Nel giro di pochi mesi, il Gruppo Ferfin fu completamente smembrato.