Bologna, 25 gennaio 2025 – L’accelerazione del risiko bancario non deve stupire. È la logica conseguenza di un mix di elementi che nel tempo hanno creato il clima giusto per farlo partire, e anzi, hanno fatto da propulsore. Tre elementi chiave. Il primo è rappresentato dalla stagione delle ricapitalizzazioni, che hanno richiesto ai soci delle banche uno sforzo notevole, ma che hanno rafforzato la solidità degli istituti di credito, rendendoli sicure e in buona salute come mai prima. Il secondo elemento è rappresentato dalla crescita sbalorditiva degli utili, la stagione dei maxi profitti, o extraprofitti come la vulgata preferisce, che ha beneficiato dei tassi alti. Il terzo elemento è la situazione attuale. Il calo dei tassi e le incertezze geopolitiche internazionali richiedono risposte nuove per garantire la crescita. Secondo gli esperti di Candrian nel 2025 “ogni taglio dei tassi di 50 punti base, potrebbe ridurre il rendimento netto da interessi del 3% per il settore bancario europeo con un calo degli utili netti del 5%”. La crescita delle banche passa quindi da nuove strade: il consolidamento, appunto, (con acquisizioni o fusioni), i ricavi sulle commissioni e ovviamente la dimensione delle masse gestite, ovvero il tesoro delle gestioni dei patrimoni. Il vero snodo di tutto.
In pratica abbiamo davanti banche solide, con molto fieno in cascina e intenzionate a conservare e accrescere la stabilità guadagnata. Mix perfetto quindi per avviare il risiko. A fare le mosse più clamorose è stata Unicredit, che sotto la guida di Andrea Orcel ha messo la fiche sulla casella Commerzbank, sparigliando tutte le carte. Unicredit è salita a circa il 28% della banca tedesca (il 9,5% attraverso la partecipazione diretta e il 18,5% attraverso strumenti derivati), ma l’obiettivo, almeno iniziale, era salire ulteriormente. Per averne il controllo e creare un colosso europeo. L’altro ieri un colpo di freno, con l’ammissione di Orcel che l’operazione senza il placet del governo tedesco potrebbe arenarsi. Ma il dossier è ancora attivo. Nel frattempo, Orcel ha aperto un altro fronte in Italia, con l’opa totalitaria su Banco Bpm che guarda caso ha in corso un’opa su Anima, il principale asset management italiano indipendente con oltre 200 miliardi di masse gestite nel 2024. L’ad milanese Giuseppe Castagna e il board non hanno gradito, il braccio di ferro è solo all’inizio, con il governo italiano che giocherà un ruolo fondamentale. Dalla Lega si è evocato persino il golden power per fermare Unicredit affermando che la banca di Piazza Gae Aulenti è di proprietà all’80% di fondi non italiani. Ma nel mondo globalizzato della finanza Unicredit resta una banca italiana, e Orcel lo ha ribadito, anche pochi giorni fa.
La partita è all’inizio e vede un altro giocatore importante, la banca francese Crédit Agricole che ha subito aumentato la sua quota in Banco Bpm dal 9,9% al 15,1% con l’obiettivo di salire fino al 19,9%. Una contromossa, quasi un arrocco se parliamo di scacchi, che fotografa la dimensione del sommovimento. E d’altronde la stagione delle aggregazioni non è solo italiana. Ricordiamo, solo per citare una delle più importanti, l’opa lanciata da BBVA sul Banco Sabadell in Spagna. Tutto questo fino a ieri. La mossa di Mps rilancia tutto il gioco e illumina soprattutto su una delle leve che stanno più a cuore alla finanza: il risparmio gestito. Se è vero che l’obiettivo è arrivare a Generali attraverso Mediobanca (che controlla il 13 % del Leone di Trieste), ecco svelata la strategia del nuovo risiko. Una partita giocata dai soci di Mps (tra cui Caltagirone al 5% e Delfin con 9,9%): il Tesoro, che detiene ancora l’11,7% di Mps, in questo modo si affaccia in Generali, la vera cassaforte italiana, impegnata nelle nozze con Natixis capaci di generare un gigante da 2.000 miliardi di risparmio gestito.
E questo solo per parlare delle teste di serie, senza citare gioielli meno grandi ma non da sottovalutare. Per le nozze con Siena nei mesi scorsi era stato tirato per la giacca Carlo Cimbri, l’ad di Unipol (che controlla Bper e Banco di Sardegna). Lui aveva detto di non essere interessato a una quota di Mps “sic et simpliciter” ma semmai di un accordo commerciale sulle assicurazioni. Ma da oggi in poi che farà Bper sulla scacchiera? E che faranno tutte le altre banche italiane di media dimensioni finita la stagione degli utili a pioggia? Difficile che restino a guardare la partita giocata da altri.