Roma, 26 gennaio 2025 – Nicola Rossi, economista, ex consigliere economico di Palazzo Chigi durante il governo D’Alema, una vita trascorsa fra istituzioni importanti come Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale e le aule universitarie, guarda con un certo distacco e con molta cautela a quello che sta avvenendo sul fronte del credito e del risparmio italiano. “Bisogna prima di tutto vedere se va in porto. In questi casi non si può dare nulla per scontato”.
Però questa volta sembra che a favore di questa operazione ci sia anche il governo e, in particolare, c’è la benedizione di Giorgetti.
“Si, è vero. In questo caso l’avallo politico è molto forte. Ma questo è al tempo stesso un punto di forza e un punto di debolezza”.
Ma, secondo lei, i tempi sono maturi per un’operazione di queste dimensioni?
“Partiamo da un dato. Il sistema creditizio ha superato una lunga fase di crisi, in cui gli istituti hanno sofferto non poco, con margini sotto zero o poco al di sopra. Negli ultimi anni la situazione è migliorata, anche grazie agli aiuti che hanno ricevuto. Le banche sono tornate ad avere una buona redditività ed è quindi ovvio che si siano riaperti anche gli interessi degli operatori. È evidente anche che c’è un problema di consolidamento del settore che non riguarda solo l’Italia ma l’Europa. Mi sembra, però, che l’integrazione fra Mps e Mediobanca abbia una sua razionalità industriale. Anche se l’offerta non è stata giudicata adeguata dal mercato. Ora si tratterà di capire quali saranno i prossimi passi che farà Montepaschi per arrivare al traguardo”.
Qualcuno ha parlato di una scalata nel segno del “sovranismo”.
“Dobbiamo intenderci. Se crediamo alle parole del ministro dell’Economia, allora non mi sembra che si possa parlare di un’operazione, per così dire, sovranista. Giorgetti ha dimostrato sul campo di far seguire alle parole ai fatti. Non possiamo dubitare che non dica il vero quando sostiene che il suo mestiere non è quello di fare il banchiere. Quindi, siamo in presenza di un’operazione che camminerà sulle gambe del mercato e non su quelle della politica”.
E se non fosse così?
“Faremmo un balzo all’indietro nel tempo, a quando ci lamentavano della troppa vicinanza del Monte dei Paschi alla politica”.
Non le fa un certo effetto vedere che il vecchio salotto buono di Mediobanca da predatore si è trasformato in una preda?
“Mediobanca non è quella di Cuccia. Il ruolo del grande ‘sistematore’ del sistema, per usare un gioco di parole, ormai è stato assunto dalla Cassa Depositi e Prestiti”.
Se l’operazione Mps-Mediobanca dovesse andare in porto avremmo un nuovo campione europeo?
“No, siamo lontani da queste dimensioni. Siamo di fronte a un’operazione che può consolidare il mercato nazionale realizzando quel terzo polo bancario di cui si parla da tempo. Ma per un riassetto vero del sistema bisogna guardare a una dimensione sovranazionale, almeno europea. Fino a quando non avremo il mercato dei capitali e l’unione bancaria, saremo sempre deboli rispetto ai grandi competitor internazionali. Non a caso, una buona quota dei capitali europei continua ad andare verso gli Stati Uniti o altre mete”.
Ma non crede che uno degli obiettivi della scalata di Montepaschi sia anche Generali e il suo ricchissimo portafoglio di risparmio italiano che rischia di essere gestito da colossi esteri?
“Diciamo che Generali è uno dei ‘sottoprodotti’ dell’operazione. Non so se il fine sia proprio quello di assicurare una gestione domestica del risparmio raccolto dalla compagnia di Trieste. Però, se vogliamo restare sul piano industriale, io penso che alla fine quello che interessa ai consumatori e ai clienti del sistema bancario sia quella di avere un mercato del credito più competitivo e un mercato dei capitali meno banco-centrico. Obiettivi che non hanno alcun colore politico”.