Domenica 25 Agosto 2024

Made in Italy in crescita. Ma si può fare di più

L'eccellenza della nautica italiana si conferma con una forte crescita nel 2023, ma c'è ancora potenziale inespresso da valorizzare. L'export è trainato dagli Stati Uniti, ma le sfide normative e fiscali frenano il settore. L'obiettivo è migliorare sempre di più.

Made in Italy in crescita. Ma si può fare di più

L'eccellenza della nautica italiana si conferma con una forte crescita nel 2023, ma c'è ancora potenziale inespresso da valorizzare. L'export è trainato dagli Stati Uniti, ma le sfide normative e fiscali frenano il settore. L'obiettivo è migliorare sempre di più.

Il tempo che passa può essere anche galantuomo? Sembrerebbe di sì. Per la nautica tricolore di sicuro, abbonata com’è ai buoni risultati, anche se alla vanità è più saggio preferire la consapevolezza: ’Lavoriamo bene. Ma potremmo anche fare meglio’. Del resto, è questo il messaggio che accompagna l’ultimo Monitor di Confindustria Nautica: se l’economia del mare continua a correre e il Made in Italy sfodera un invidiabile stato di salute, c’è un potenziale inespresso che può e deve essere valorizzato.

Ovvio, difficile non celebrare i risultati di questa autentica eccellenza del Belpaese, certificata anche dallo studio ’The state of the art of global yachting market’ commissionata a Deloitte dalla stessa Confindustria Nautica: forte trend di crescita nel 2023 per un comparto industriale capace di fatturare oltre 8 miliardi di euro, anche grazie alle performance della cantieristica (giro d’affari sui 4,4 miliardi di euro e un +20% rispetto all’anno precedente). Potenza dei numeri, pixel di una fotografia ad alta definizione anche senza ricorrere al photoshop o ad affannose operazioni di marketing. Perché l’ipertrofia narrativa non serve quando bisogna sedurre il mercato. Meglio scommettere sulla reputazione, sul saper fare, sull’arte di coniugare affidabilità ed estetica delle imbarcazioni e sulla sostenibilità, essenziale per raggiungere la graduale transizione green.

Certo, a contare è sempre la propensione della nautica italiana ai mercati esteri con un tasso di esportazione che rasenta il 90% del valore di produzione delle nuove unità da diporto e che alla fine dello scorso anno aveva superato la soglia dei 4 miliardi di euro, complice – è noto – l’enorme domanda proveniente dagli States. Traduzione agevole: siamo i leader mondiali nella costruzione di grandi natanti (54% in termine di volume) e lo siamo pure per le grandi unità pneumatiche, la componentistica e gli accessori. E se una buona notizia ne richiama un’altra, a confortare è il generoso portafogli ordini per imbarcazioni di alta gamma, con molti cantieri in possesso di contratti almeno per i prossimi 2-3 anni.

Nella diagnosi sul ’come siamo e come saremo’ non è meno illuminante il primo studio Altagamma-Deloitte. Con dati dalla loquacità sorprendente. Uno su tutti: nel decennio 2012-2022, la nautica italiana è cresciuta di 3 volte rispetto al PIL nazionale, sfoderando un impatto complessivo di oltre 27 miliardi (e 157mila occupati) con un effetto moltiplicatore di quasi 2,7 volte a livello economico e di 6 volte in termini occupazionali. Insomma, il profilo della filiera resta invidiabile e lascia già indovinare quello che i dirigenti di Confindustria Nautica annunceranno al prossimo Salone di Genova: forte crescita della cantieristica italiana (new build) stimata tra il +5-15% nel 2023 e proiezioni buone anche per il 2024, seppure ad un ritmo meno sostenuto.

Con qualche differenziazione fra prodotti luxury e piccola nautica: a tirare la volata saranno ancora una volta i grandi yacht e reggerà relativamente bene la vela mentre un sensibile rallentamento dovrebbe riguardare la produzione di natanti di taglia più minuta. Le zavorre? Non mancano, appesantite dalle pastoie normative che frenano la nautica nazionale e il suo potenziale. E qui è facile citare la scarsa disponibilità di posti barca in marine e porti turistici pure attrezzati per ospitare yacht e superyacht ed erogare servizi all’altezza dei clienti ’alto-spendenti’.

E pesa anche la scarsa incidenza di imbarcazioni con bandiera italiana, se è vero che risultano tali solo 172 navi da diporto superiori ai 24 metri delle quasi 5mila costruite nei nostri cantieri negli ultimi 50 anni, anche per effetto del discutibile regime fiscale (tipo ’tassa di stazionamento’) applicato lungo le coste della penisola. Giusto per rammentare il mantra: ’Lavoriamo bene. Ma potremmo anche fare meglio’.