di Paolo Galliani
L’ottimismo è un decoro mentale. Traccia la mappa narrativa delle persone che hanno questo dono. E pare quasi naturale riscontrarlo in chi, da 15 anni, ricopre il ruolo di direttore generale di Confindustria Nautica, ovvero di ’io narrante’ di una delle realtà più ’positive thinking’ del diportismo tricolore e del Made in Italy. Un imprinting che è la firma di Marina Stella nella stagione autunnale che segue il Salone di Genova, momento apicale per trovare un equilibrio tra il ’cosa siamo’ e il ’cosa saremo’, cercando la sintesi tra i grandi numeri di un comparto in ottima salute e il bisogno di strappare a Palazzo Chigi un sistema di disposizioni che non mortifichino l’enorme potenziale dell’economia del mare.
Timing perfetto. Del resto, proprio il tempo sembra confortare l’associazione di categoria che tiene insieme oltre 400 società dell penisola impegnate nella cantieristica, nella componentistica e nell’accessoristica. Lo stesso tempo che ha appena consegnato agli archivi il successo della manifestazione settembrina all’ombra della Lanterna, vetrina di una nautica da diporto che all’ultimo consuntivo ha fatto registrare il fatturato record di 8,3 miliardi di euro; che ha marcato più di sempre la propria leadership in termini di export.
E che sta portando a casa novità in termini normativi attese da una vita. Tra tutte, il nuovo testo che tiene fuori i porti turistici e i punti di ormeggio dalle regole fissate per le imprese ricreative, l’attuazione del Codice della Nautica e il ddl Blue Economy destinato ad andare in porto entro inizio anno, argomenti identitari per un mondo imprenditoriale che presto, a Roma, vivrà il suo tradizionale momento di aggregazione, occasione peraltro perfetta per riproporre al mondo politico e istituzionale l’urgenza di interventi che vadano a rimediare ad alcuni punti deboli ancora tali.
In primo luogo, la modesta competitività della ’bandiera italiana’, elemento paradossale per un Paese che non ha rivali nella creazione dei più invidiabili gioielli dello yachting mondiale ma che poi si trova a registrare pochissime immatricolazioni sotto il proprio vessillo con un imperdonabile spreco di opportunità e indotto. Tant’è. Questo è anche il tempo dei grandi rendez-vous internazionali. E se la leadership va sempre alimentata, ecco spiegata la recentissima trasferta dei dirigenti di Confindustria Nautica al MetsTrade Show di Amsterdam e quella precedente al Boat Show di Fort Lauderdale, negli States. Senza dimenticare la programmata partecipazione al prossimo Boot di Dusseldorf quindi alle successive rassegne fieristiche di Miami e Dubai.
Lo spiega lo stesso direttore generale auspicando iniziative sempre più lungimiranti per intercettare l’interesse delle nuove generazioni verso il diportismo. E pronosticando un 2025 positivo per la nautica italiana, ancorché caratterizzata da volumi di crescita meno sostenuti rispetto agli ultimi anni. Sullo sfondo, la nuova edizione del Salone genovese, meglio attrezzato per rispondere alla domanda di visibilità dei grandi brand grazie al completamento del Waterfront di Levante e alla disponibilità di un layout espositivo degno di un evento che aspira ad imporsi come il più elettivo a livello globale.
Peraltro, senza stravolgere il concept ’We are made of sea’. già utilizzato nella rassegna 2024. È sempre lei, Marina Stella, a confermarlo: "È una parola d’ordine che alimenta rimandi positivi e che ci rappresenta al meglio. Con ogni probabilità lo manterremo anche nel 2025". Giusto per dimostrare quello che in questi ultimi anni è sembrato imporsi come la nuova narrazione liquida, fluida e modulabile della nautica del Belpaese. Pensata e creata per fare veleggiare un comparto che vive di reputazione e di business ma che ha bisogno di fare navigare la cultura del mare e invitare a bordo l’immaginario collettivo.