Roma, 11 dicembre 2023 – Giorgia Meloni, alla vigilia del vertice con i leader europei, fissa i cardini della piattaforma negoziale dell’Italia per la volata finale che dovrà portare nelle prossime settimane alla riforma del Patto di stabilità e crescita (Psc). "La trattativa è aperta, ma ci sono spiragli per una soluzione seria", spiega. E, però, continua a tenere le carte coperte sul dossier più intricato, quello del Mes. "Parliamo di strumenti e non di totem ideologici – incalza –. Quando saprò quale è il contesto nel quale mi muovo saprò anche che cosa secondo me bisogna fare del Mes. Certo, se il Pd voleva ratificarlo, lo poteva fare negli anni del suo governo". Un avviso che determina un vero duello con la segretaria dei democratici, che l’aveva accusata di tenere bloccata l’Europa e che, a stretto giro, contrattacca: "Fa il gioco delle tre carte, è inadatta a governare".
La partita finale
La data magica del 14 dicembre non si rivelerà decisiva per le sorti della ratifica del Fondo Salva-Stati. L’altolà della Lega, del resto, ha messo la pietra tombale sull’ipotesi dell’esame parlamentare. Ma è stato solo il sigillo a una decisione politica che vede partecipe la stessa premier, con una differenza tattica non secondaria. Dal partito di Matteo Salvini la contrarietà al Meccanismo resta quella di sempre e solo la presenza del leghista Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia rende i toni del no meno acuti.
Per la Meloni, invece, il Mes, come più volte indicato dal ministro Raffaele Fitto, è parte di un "pacchetto" complessivo del quale fanno parte innanzitutto il Patto di stabilità, ma anche il nuovo bilancio dell’Unione, con la quota da destinare all’emergenza migranti (da uno a 8 miliardi in ballo), l’Unione bancaria e lo stesso Pnrr. Il che significa che i pezzi del puzzle vanno innanzitutto messi nell’ordine temporale più appropriato. Certo è che la prima tappa del complesso negoziato si svolgerà sempre il 14 e il 15, con il Consiglio dei Capi di Stato e di governo. E se è vero che il patto non è all’ordine del giorno, è altrettanto certo che sarà il convitato di pietra sul tavolo. Tanto più che si tratterà di stringere sul bilancio dell’Unione.
Gli spiragli sul patto
Entro questo quadro si comprendono le parole della premier di ieri. "La trattativa – insiste – è aperta, noi stiamo portando avanti un approccio pragmatico e credo che non si possa dire di sì a un Patto di stabilità che nessuno Stato potrebbe rispettare perché non sarebbe serio da parte nostra. Io vedo spiragli per una soluzione seria che tenga conto del contesto in cui operiamo". Il nodo è quello degli investimenti: "L’Italia chiede una cosa banale: che gli investimenti fatti, anche incentivati dall’Ue, su alcune materie strategiche, vengano riconosciuti nella regole della governance". L’obiettivo è escludere gli investimenti per la transizione verde e digitale, e per la Difesa, dal calcolo del debito. Perché "non si può punire chi investe".
Il duello con Schlein
Chiuso il Patto, si aprirà la partita del Mes. Ma solo a quel punto. Il che significa che la ratifica non si discuterà in Parlamento prima di gennaio, che, però, è anche la data ultima per decidere. Ma proprio il Fondo Salva-Stati è finito al centro dello scontro con la leader dem. A innescare il botta e risposta l’accusa della Schlein: "Non è possibile per ragioni ideologiche bloccare tutto il resto d’Europa sulla ratifica di un trattato. Rimane solo l’Italia". Secca la Meloni: "Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare.
E comunque perché le opposizioni non lo hanno ratificato mentre erano da 4 anni al governo". "Forse – incalza – bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo: questo sarebbe il dibattito da aprire". Il che non esclude, nella logica a pacchetto del governo, che si possa arrivare alla ratifica ugualmente. La Schlein non ci sta: "Giorgia Meloni fa il gioco delle tre carte. Primo: quello di cui discute non è l’attivazione del Mes ma la ratifica del trattato che lo modifica. Se non è in grado nemmeno di spiegare questa differenza, non è adatta al suo mestiere. Noi siamo comunque convinti che anche questa pantomima finirà e Giorgia Meloni si rimangerà anche questa promessa elettorale".