Martedì 12 Novembre 2024
ANTONIO TROISE
Economia

Mes, l’analisi dell’economista: "Meglio le vecchie regole che un’intesa pasticciata"

La professoressa De Romanis: dire che non useremo il Mes allarma i nostri partner. "Il governo nutre dubbi perché con le nuove disposizioni la Commissione avrà più poteri"

Roma, 12 dicembre 2023 – Professoressa Veronica De Romanis, il governo sta prendendo tempo sul Mes. Vuole capire come andranno le cose sul patto di stabilità. Fa bene?

"La logica del pacchetto non ha senso. Quello sul Mes è un negoziato chiuso, manca solo la ratifica dell’Italia. Mentre è ancora in corso la trattativa sulla riforma del Patto di stablità. Sono due cose completamente diverse".

Per iscriverti al canale WhatsApp di Qn clicca qui

L'economista Veronica De Romanis
L'economista Veronica De Romanis

Ma gli interlocutori sono gli stessi .

"Il Mes già esiste, si discute la revisione: quando l’Italia lo ratificherà – spiega l’economista e docente della Luiss – questo meccanismo avrà uno strumento in più da usare in caso di crisi bancaria sistemica da affiancare al fondo di risoluzione unico che ha una capacità limitata, pari a di 55 miliardi".

Non c’è nulla da temere?

"Non ha senso privarsi di un estintore. Firmare e dichiarare di non utilizzarlo è peggio di non firmarlo. Si sta dicendo ai nostri vicini, i partner europei, che in caso di incendio non useremo l’estintore, non tranquillizzandoli sul rischio di contagio".

Non sarebbe meglio attendere il completamento dell’Unione bancaria, prima di ratificare la revisione del Mes?

"Su questo posso anche essere d’accordo. All’unione bancaria manca il terzo pilastro, che è la garanzia unica per i depositi, il fondo per tutelare i depositanti sotto i 100mila euro. Potrebbe essere un’occasione per affrontare il tema e chiedere il completamento del processo. Ma l’errore è quello di mettere insieme il Mes e il Patto di stabilità, con la logica di uno scambio".

Per la verità anche sul Patto di stabilità l’Italia ha più dubbi che certezze.

"Credo che l’Italia e, in particolare, il ministro dell’Economia, Giorgetti, abbiano ragione a nutrire delle perplessità. Lo schema proposto dalla Commisione presenta molte criticità a cominciare dal fatto che viene previsto un percorso di aggiustamento dei conti pubblici le cui correzioni sono negoziate, in maniera bilaterale, in base a una traiettoria stabilita dall’esecutivo comunitario. La Commissione, in sostanza, avrà maggiori poteri".

La trattativa è ancora in salita.

"La proposta della Commissione convince poco. Ci sono due posizioni: la Germania chiede criteri quantitativi uguali per tutti; mentre Italia e Francia chiedono più spazio per fare investimenti. La verità è che se mettiamo insieme le due proposte stiamo tornando alla logica del vecchio patto. Ma, se è così, perché lo stiamo riformando? Peraltro, inserire questi correttivi darebbe vita a uno schema pasticciato e poco trasparente".

Insomma, sarebbe meglio lasciare le cose così?

"Non vedo la priorità di riformare regole che hanno funzionato in un anno elettorale. Capisco che può essere una priorità ‘politica’ per la Commissione uscente, ma si rischia un pastrocchio assurdo".

È sicura che le vecchie regole siano ancora attuali?

"Il problema non è nelle regole, ma nella maniera in cui sono applicate. Con il vecchio patto ci sono Paesi che hanno ridotto il debito e aumentato gli investimenti, come la Germania, e altri che hanno utilizzato i margini di flessibilità concessi dall’Europa per fare nuova spesa corrente. E penso ai 25 miliardi di flessibilità, ossia la possibilità di spendere a debito, concessi dall’Europa al governo Renzi e utlizzati per finanziare gli 80 euro. Se gli investimenti non sono stati fatti, la colpa non è delle regole, ma delle decisioni prese dagli Stati e dal monitoraggio fatto dalla Commissione. Piuttosto che fare un pastrocchio, conserviamo il vecchio patto. Magari facendolo funzionare meglio, monitorando di più le situazioni dei singoli Paesi".

L’Italia, però, ha qualche problema in più a causa dei tassi di interesse elevati. Non sarebbe il caso di convincere la Bce a ridurli?

"È vero che siamo penalizzati. Ma è anche vero che a una politica monetaria restrittiva si può anche rispondere riducendo il debito, agendo sulla crescita ma anche sul denominatore, quindi attraverso una spending review, come il governo stesso ha spiegato nella Nadef. Nel 2026 la spesa per gli interessi sarà di 100 miliardi, più di tre volte l’attuale finanziaria. E si tratta di una spesa iniqua, perché si prendono risorse dalla collettività, sottraendole a comparti come sanità, servizi, istruzione e trasporti e si danno a chi compra titoli pubblici, che non appartengono alle fasce sociali più in difficoltà".

Secondo lei quando caleranno i tassi?

"L’inflazione si sta riducendo, ma ci vorrà del tempo prima che i tassi scendano. Almeno fino alla prossima primavera".