Lunedì 23 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Manovra, Tria resiste al pressing Lega-M5s. "Non firmerò mai un deficit al 2%"

Il ministro dell'Economia minaccia dimissioni, Conte media: non attacchiamoci ai decimali Manovra, Di Maio: "Deficit al 2% un tabù? Dovevano dircelo prima"

Roma, 20 stettembre 2018 - Luigi Di Maio concede nuova fiducia al ministro dell’Economia, ma non molla la presa. E, anzi, se possibile, alza il tiro. O si allargano le maglie della legge di bilancio – fa sapere dalla Cina – o il governo non regge. Così, il giorno dopo lo scontro fra il vicepremier e Tria la tensione rimane altissima. Tanto che il premier e il suo sottosegretario a Palazzo Chigi si dividono i compiti tra chi osa e chi frena. Il leghista Giancarlo Giorgetti che fa intravedere lo sforamento del 2% nel rapporto deficit/Pil («Ma solo con provvedimenti non demagogici») e Giuseppe Conte puntualizza: «Non impicchiamoci ai decimali. La manovra deve essere coraggiosa, che consenta crescita e sviluppo sostenibile. Ma dobbiamo essere credibili anche rispetto ai mercati, perché li chiamiamo a fare degli investimenti sui titoli di Stato».

Manovra, Di Maio: "Deficit al 2% un tabù? Dovevano dircelo prima"

Mancano all’appello 15-16 miliardi per realizzare, almeno in parte, le promesse elettorali dell’alleanza giallo-verde, miliardi che possono o non possono essere recuperati a seconda del livello al quale si fissa il rapporto deficit-Pil: tra l’1,6% voluto dal Tesoro e il 2,5% richiesto principalmente dal leader dei 5 Stelle. Anche perché, come incalza Laura Castelli, vice grillina di Tria, fermarsi all’1,6 «vorrebbe dire non fare quasi niente, a meno che non si facciano solo tagli». 

FOCUS Le misure chiave tra promesse e realtà   Ma ancora in mattinata Tria con gli interlocutori è categorico: neanche arrivare all’1,6 è scontato, spingersi oltre il 2 rischia di essere insostenibile, con l’Ue e sui mercati. «Piuttosto che firmare il 2% di deficit – è il ragionamento che più d’uno gli ha sentito fare – mi dimetto io». Una linea che non è certo – precisa – un puntiglio personale. Se è vero però, come dice Giorgetti, che nel governo nessuno, neanche Tria, «può dormire tranquillo», le dimissioni del ministro in piena sessione di bilancio sarebbero insostenibili. E d’altra parte il titolare dei conti può fare affidamento sull’appoggio non solo del Colle e della Bce ma anche del governatore di Bankitalia, che proprio ieri davanti ai banchieri dell’Abi ha insistito: «Il debito pubblico italiano è sostenibile. Ma occorre tenere conto della crescita e del costo del debito». Quel che è certo è che dopo il pressing dell’altro giorno Di Maio abbassa i toni («Tria non è in discussione, ha la nostra fiducia»), ma non le richieste: «Si può attingere un po’ di deficit in più per poi fare rientrare il debito l’anno dopo o tra due anni. Perché quello che dobbiamo mettere al centro non è rassicurare i mercati, ma migliorare la vita degli italiani».   Non sono da meno i capigruppo di Camera e Senato che devono tenere a bada i crescenti malumori della base parlamentare del Movimento contro Tria (è circolata la voce di un documento contro il ministro) ma anche, in parte, verso Di Maio. Non a caso incontrano proprio il premier per insistere sui principali cavalli di battaglia grillini: reddito e pensioni di cittadinanza da subito. Senza, la stessa leadership del capo grillino potrebbe crollare. Ma, a questo punto, solo Conte, con uno scambio su una linea più morbida sui migranti, potrebbe strappare qualche decimale in più per la manovra. Comunque non bastevole per soddisfare i grillini, mentre la Lega porta a casa un pacchetto rilevante.