Roma, 13 novembre 2018 - Dalle penalizzazioni implicite per chi va in pensione con quota 100 (che però Matteo Salvini e il sottosegretario Claudio Durigon respingono al mittente) alla stima di maggiori tasse per le imprese e di possibili distorsioni della cosiddetta flat tax per gli autonomi. Fino alle nebulose del reddito di cittadinanza, a rischio di deriva assistenzialistica. E’, insomma, un coro di rilievi critici, di rischi e di timori quello che si è levato ieri nelle audizioni parlamentari dai vertici di Istat, Ufficio parlamentare di Bilancio e Corte dei Conti, ma anche di Abi, Confindustria, Ance, sulla legge di Bilancio presentata dal governo. Un coro che ha avuto come focus principale la consapevolezza diffusa che le stime dell’esecutivo sulla crescita del Pil e sul deficit sono ottimistiche e di fatto irraggiungibili, con tutto quello che ne deriva per lo spread e, dunque, per il debito pubblico e per le banche, con gli impatti negativi per famiglie e imprese.
"Le misure previste per il mondo bancario – sottolineano dall’Associazione bancaria italiana puntando l’indice anche sulla mancata proroga dei fondi per i mutui agevolati per i giovani per la prima casa – drenano liquidità in maniera consistente e rappresentano un ulteriore sacrificio per le banche, con impatti sul loro ruolo di sostegno all’economia, a famiglie e imprese". E ancora: "indebolire le banche" significa "indebolire i principali acquirenti di titoli di Stato" perché le banche "continuano a detenerli e sottoscriverli nonostante lo spread, che ne riduce il valore e conseguentemente il patrimonio delle banche stesse".
Ma al centro del dibattito è anche la stima dell’Upb sugli effetti che avrebbe sull’assegno previdenziale l’uscita anticipata con quota 100: la pensione subirebbe una penalizzazione tra il 5 e il 30 per cento a seconda degli anni di anticipo. Il risultato si otterrebbe perché il lavoratore versa meno contributi e va via a un’età anticipata rispetto a quella della legge Fornero: e con il sistema contributivo la conseguenza sarebbe una prestazione meno cospicua. Ma il sottosegretario al Lavoro, Durigon, non ci sta: non c’è nessun taglio ma "è evidente che chi uscirà con quota 100 avrà una rata pensionistica basata sugli effettivi anni di contributi e non anche sugli anni non lavorati".
Ecco i punti critici:
QUOTA 100, PENSIONI RIDOTTE DEL 30%
Secondo le stime degli analisti dell’Upb chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30% se l’anticipo è di oltre 4 anni. Non solo: se andassero in pensione nel 2019 i 437 mila lavoratori attivi, la spesa salirebbe a circa 13 miliardi. Ma la stima non è confrontabile con la dote di 8 miliardi stanziata perché molteplici aspetti possono mitigare il valore massimo. Di certo, per Confindustria non sono automatici gli effetti positivi sulla nuova occupazione dell’uscita anticipata dei più anziani: "Non siamo riusciti a trovare – avvisa Vincenzo Boccia – un’analisi che sostanzi l’ipotesi di una sostituzione 1 a 1 tra giovani e persone più avanti in età".
IMPRESE, AUMENTANO LE TASSE
A conti fatti, il 30% delle imprese pagherà più tasse a fronte di qualche vantaggio solo per un 7 per cento. I provvedimenti sulla tassazione delle imprese – avvisano dall’Istat – generano una riduzione del debito di imposta Ires per il 7% delle imprese, mentre per più di un terzo tale debito risulta in aumento. L’aggravio medio di imposta è pari al 2,1% perché l’introduzione della mini-Ires (-1,7%) non compensa gli effetti dell’abrogazione dell’Ace (+2,3%) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5%). E l’aggravio è maggiore tra le imprese fino a 10 dipendenti. Non a caso dalla Corte dei Conti si sottolinea che con la manovra 2019 andrebbero preservate alcune misure di incentivazione previste negli anni passati, che hanno mostrato una elevata efficacia. Una tesi rilanciata dai vertici di Confindustria.
PIL, CRESCITA IN FRENATA
Tutti, dall’Istat all’Upb, dalla Corte dei Conti a Confindustria, all’Abi, puntano l’indice sulle stime eccessivamente ottimistiche, per non dire impossibili, relative alla crescita del Pil nel 2019, con effetti negativi sul rapporto deficit-Pil. Un mutato scenario economico – spiegano dall’Istat – potrebbe influire sui saldi in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi. La manovra – insiste a sua volta il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro – presenta "incertezze sui conti". E incertezze sul deficit che il governo programma al 2,4% del Pil e la commissione Ue al 2,9%. Mentre lo stesso Upb stima al 2,6 per cento con il Pil all’1,1 per cento.
FLAT TAX, POSSIBILI RISCHI DI SOMMERSO
Bisogna – spiegano i magistrati della Corte dei Conti – "valutare attentamente gli effetti negativi" dell’ampliamento della flat tax per gli autonomi. I rischi possono essere rilevanti: dal rinvio della fatturazione, allo scopo di non superare la soglia di legge, fino all’occultamento tout court delle prestazioni effettuate. Per non parlare degli effetti sul mercato del lavoro. L’ampliamento può indurre i nuovi contribuenti e le imprese a preferire l’assoggettamento a tale regime al posto di nuovi rapporti di lavoro dipendente. Sulla stessa linea il presidente di Confindustria: la flat tax per le partite Iva non appare certo risolutiva per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo e, anzi, questa misura potrebbe aumentare la disparità di trattamento tra contribuenti e disincentivare, in futuro, il lavoro stabile.
REDDITO, TORNA L'ASSISTENZIALISMO
Se dall'Istat stimano che il reddito di cittadinanza potrebbe portare a un aumento del Pil dello 0,2-0,3 per cento, dalla Confindustria mettono in guardia: "C’è una non proporzionalità tra i 780 euro del reddito di cittadinanza, che vengono erogati prestando servizi per 8 ore a settimana, e uno stipendio di ‘primo impiego’ netto di un giovane, che per uno stipendio medio di 830 euro deve lavorare 40 ore a settimana". Ma dai tecnici dell’Istituto di statistica si stima anche che oltre 400 mila famiglie povere vivono in una casa di proprietà e quasi una su cinque paga un mutuo, di importo mensile medio pari a 525 euro. Insomma, "il titolo di godimento dell’abitazione incide in misura rilevante sulle condizioni di vita".