Roma, 19 dicembre 2018 - L’accordo c’è. Sia pure a livello tecnico. Ed è stato messo a punto al termine di due estenuanti giorni di trattativa fra Roma e Bruxelles, mentre oggi arriverà la decisione ufficiale. Il deficit nominale resta al 2,04%, ultima trincea del governo. Ma quello "strutturale", ovvero la variazione al netto del ciclo economico e delle entrate una tantum, si ridurrà dello 0,2%. Come? A fare il miracolo due novità: la trasformazione degli interventi sulle pensioni da strutturali a temporanei. E il ritocco al ribasso del tasso di crescita, dall’1,5% all’1%.
Quanto basta per aumentare il cosiddetto output gap, ovvero la differenza fra il Pil reale e quello potenziale. Per una delle strane alchimie delle regole europee, più è ampio maggiore è la disponibilità di Bruxelles a concedere flessibilità sui conti. Insomma, con la nuova proposta, l’Italia rispetterebbe la regola del deficit, lo sconto concesso sulla riduzione del disavanzo strutturale (dallo 0,6% previsto allo 0,2) sarebbe giustificato dal ciclo economico negativo. Ci sarebbe poi un’ulteriore flessibilità dovuta alle riforme che il governo ha messo in campo: dalla semplificazione della burocrazia alla della giustizia. Oltre allo spostamento degli investimenti contro il dissesto idrogeologico (5 miliardi) al di fuori del perimetro del deficit.
Infine, il debito: il governo si è impegnato a scendere al di sotto del 130% già nel 2019 accelerando le privatizzazioni. Il nodo più difficile è stato, però, quello dei tagli. I 4 miliardi di riduzione della spesa, divisi fifty fifty fra reddito di cittadinanza e Quota 100, non solo sono stati considerati insufficienti. Ma anche con un respiro corto, dal momento che quello risparmiato nel 2019 veniva, di fatto, scaricato sul deficit del 2020. Per Bruxelles, insomma, occorrevano maggiori garanzie. Che, nella versione finale del testo illustrato ieri dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, si sono tradotte in altrettante clausole di garanzia. Come a dire: se i conti non torneranno, il governo è pronto a far scattare l’aumento dell’Iva. Con l’opzione, ovviamente, di renderli graduali rispetto agli impegni già assunti e, soprattutto, selettivi. Ma non basta. Per rassicurare Bruxelles soprattutto sul capitolo delle pensioni, il governo si è detto pronto a spostare le finestre di uscita previste nel 2019 nel caso in cui le richieste per lasciare il lavoro risultassero superiori alle stime. Confermato anche il blocco degli adeguamenti degli assegni Inps per i trattamenti superiori ai 1300 euro netti. Almeno tre miliardi di nuove entrate saranno garantiti dalle dismissioni immobiliari, anche attraverso la leva finanziaria della Cassa Depositi e Prestiti. Un altro miliardo invece da una nuova sforbiciata alle spese dei ministeri e da agevolazioni per le imprese.
LA PAROLA finale, ovviamente, passa ora al collegio della Commissione che, di fatto, dovrebbe fermare la procedura d’infrazione almeno fino a quando non conoscerà, nei dettagli i contenuti della manovra. Se gli impegni saranno rispettati, l’Ecofin del 22 gennaio, dovrebbe accettare la proposta italiana. Ma a Bruxelles c’è anche chi dice che il giudizio resterà sospeso fino ad aprile, quando ci sarà la prima nota di aggiornamento del Def. Si saprà se il governo ha rispettato davvero gli impegni presi.