Roma, 5 ottobre 2019 - Al Quirinale tengono la guardia altissima sulla reazione dell’Europa e degli stessi mercati e si muovono per tentare di creare di fatto uno scudo protettivo, un ombrello che possa funzionare se la situazione dovesse precipitare. Nel timore che il governo sottovaluti il pericolo. Da qui il lungo incontro riservato del presidente Sergio Mattarella con il governatore della Bce Mario Draghi: un colloquio, avvenuto l’altro giorno, proprio nella giornata della mezza retromarcia del governo sul deficit, tra due uomini che in questi anni hanno stretto un rapporto di reciproca stima e di robusta collaborazione, con una solida alleanza da mobilitare soprattutto in caso di emergenza. Dunque un incontro informativo per il capo dello Stato sulla tenuta possibile (e fino a che punto e a che condizioni) di una manovra economica che presenta profili non convincenti per chi deve giudicarla ai fini dell’equilibrio del nostro debito pubblico, al punto da rischiare una severa bocciatura in sede Ue. Le ultime correzioni al Def, infatti, non fanno presa né a Bruxelles né tra gli analisti e gli operatori sui mercati. Anzi.
La mossa del Colle, che fa seguito a contatti telefonici continui tra il Quirinale e Francoforte, arriva in giornate che, per di più, hanno visto anche esponenti della maggioranza tornare a ipotizzare l’uscita dall’euro e, soprattutto, i due vice-premier all’attacco dei vertici della Commissione. Per non parlare comunque anche dei rumors e delle voci raccolte a Bruxelles sull’accoglienza dura riservata al Def, con il corollario dei rischi connessi. Si spiega, insomma, la preoccupazione continua del Quirinale e il continuo monitoraggio della situazione. A maggior ragione in vista della fine non lontana del quantitative easing assicurato proprio dalla Banca centrale. E, d’altra parte, proprio Draghi nell’emergenza del 2011, da governatore della Banca d’Italia, tenne un rapporto costante con l’allora presidente Giorgio Napolitano: e fu lui a firmare con l’allora numero uno della Bce, Trichet, la lettera che portò di fatto alla fine del governo Berlusconi.
In questo quadro, con il Def finalmente arrivato in tarda serata alle Camere, in una giornata nuovamente convulsa e animata dalla nuova puntata della guerra di cifre e di risorse tra Lega e 5 Stelle, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha inviato l’attesa lettera con i numeri-chiave della nuova Nota di aggiornamento al Def a Bruxelles: si conferma la retromarcia sul deficit/Pil per gli anni 2020-2021, con il 2,4 per il 2019, ma compare «anche» una crescita del Pil leggermente meno robusta di quella della prima versione del Documento: 1,5 per l’anno prossimo, 1,6 e 1,4 per i due anni seguenti. Una crescita comunque giudicata troppo ottimistica da tutti gli analisti e, soprattutto, dalla stessa Commissione europea.
Per il ministro, però, la manovra garantirà la «stabilità complessiva del sistema». Da qui la richiesta a Bruxelles di tenere un «dialogo aperto e costruttivo».
Ecco i principali numeri: la discesa del rapporto debito/Pil va dal 131,2% 2017 al 126,7 nel 2021. Quest’anno è stimato al 130,9 , nel 2019 al 130 e nel 2020 al 128,1.
Sul fronte del Pil si prevede un più 1,2% quest’anno, contro la prima stima dell’1,5. Il tasso di disoccupazione scenderà al 9,8% nel 2018, per poi calare ancora al 9,1% nel 2020 e all’8,6% nel 2021. Il tutto con una taglio della spesa pubblica di 3-4 miliardi.
In materia di Iva, la Nota prevede che «gli aumenti delle imposte indirette previste dalle clausole di salvaguardia verranno completamente sterilizzati nel 2019 e parzialmente nel 2020 e 2021».