CURIOSITÀ CHE arrovella gli appassionati: il tartufo nero si gratta crudo? "No, solo i bianchi si grattano crudi. Il nero, in particolare l’estivo e l’uncinato, deve avere una sorta di cottura, specie se congelato va appena riscaldato al fuoco in olio extravergine magari con sale, pepe, un filetto d’acciuga, aglio, peperoncino e prezzemolo. E così diventa perfetto per qualunque piatto".
E se lo dice lei, è vangelo. Perché lei è la signora dei Tartufi: Stefania Calugi (nella foto), 56 anni vissuti con energia e freschezza, da 38 alla guida prima solitaria poi con il marito Jurij ("entrò nel 2006 a collaborare come tartufaio esperto...") di un’azienda che affonda le radici nei primi del Novecento con le "cacce del bisnonno Antonio che stava fuori a settimane con il suo cane, ed è continuata con nonno Guido e babbo Renato fino a lei: oggi fattura 7 milioni l’anno, 55% di export in 40 Paesi, stabilimento di 1.500 metri quadrati che occupa 25 dipendenti (fino a 32 nei momenti clou), raccoglie tuberi da 30 ettari di tartufaie biologiche nel "triangolo d’oro" Corazzano-Marti-Palaia e propone un catalogo vastissimo tra freschi, conservati, creme, polveri e sfizi vari tutti declinati al tartufo, ma non solo, nei 135mila pezzi lavorati a mano ogni settimana c’è spazio anche per frutta e ortaggi da smerciare in vetro.
Domanda d’obbligo, Stefania: come butta la stagione quest’anno?
"Male, per ora, con queste piogge intense (al momento dell’intervista, ndr) le tartufaie sono sommerse, i pochi che arrivano perdono la venatura e marciscono. Per ora se ne vedono pochi, sempre meno se non esce un po’ di sole deciso, è così ovunque".
I prezzi saranno molto alti...
"E aumentano di continuo, al borsino di Alba non meno di 4mila euro al chilo".
Poco, e neppure buono?
"Alcuni sono buoni, ma quelli rimasti sotto l’acqua perdono il color nocciola, se ne va il profumo e si sbriciolano. Ora va meglio nel bosco, dove il terreno è in pendenza e non ristagna, il sottobosco deve essere umido ma non inzuppato, altrimenti i tartufi si ammalano, il bosco drena di più. E nel bosco il tartufo esce meno rotondo ma comunque magico. Certo, il tartufo di fondovalle è più bello, ha la pelle di velluto giallo oro, quello di bosco è più simile a pietra e cresce più storto, in stagione costa meno, magari è profumatissimo ma porta via tempo per la pulizia con le spazzole, e in cucina si taglia peggio".
Si coltiva, il tartufo?
"Il Tuber Magnatum Pico, il bianco pregiato, quello no. Casomai però si salvaguardano le tartufaie naturali con varie azioni, da fare in primavera, un taglio accurato e una bella pulizia del sottobosco perché deve circolare aria, poi vanno tolte le piante cadenti e quelle infestanti, e si regimano i torrentelli. Per i neri e i bianchetti ci sono tartufaie selvatiche e anche coltivate, ma va messo in conto che il tartufo è un frutto a medio-lungo termine, sui 6-10 anni. Comunque è ora di drizzare le orecchie: se prima l’Italia era importante adesso escono fuori altri paesi grazie a Internet e ai social, e hanno terreni più vergini, noi rischiamo l’esaurimento delle risorse".
I concorrenti più pericolosi?
"Nella nostra fascia di latitudine verso Est: l’ex Jugoslavia, la Romania, la Bulgaria, la Grecia, la Turchia e il bacino del Mediterraneo. Poi per i neri pregiati sono molto forti la Cina e l’Australia. E poi la Francia ha grande tradizione per il nero Melanosporum, e ora anche la Spagna, dove però la terra è più secca, e devono bagnare tanto. E loro hanno lo Stato che aiuta tanto".
Com’è stato il suo primo approccio? Le piacevano i tartufi da bambina?
"Aneddoto di famiglia: il babbo appoggiava la giacca alla sedia con i tartufi nelle tasche, io a gattoni andavo lì e me li mangiavo, anche con la terra. La nostra cultura nasce con il bianco e il bianchetto, il nonno con il bianchetto che secondo lui era più buono del bianco si faceva anche tutti i giorni una frittatona con sei uova".
E la decisione di aprire la ditta? E’ stata dura?
"Era un desiderio del babbo, e quando fui pronta mi iscrissi al Rec e alla partita Iva, allora si poteva, finita la quarta superiore. Avevo 18 anni, feci una breve esperienza in un ufficio di assicurazioni ma appena si aprì la stagione del bianco ero già sul pezzo, dietro al babbo e in azienda. All’inizio è stata dura, ero molto timida, i confronti non erano facili, ti formavi tra un sorriso e un pianto. Poi cominciai a decifrare e a capire chi avevo davanti, e di cosa avessero bisogno".
Un buon cane come si sceglie?
"Alla mamma incinta si fanno mangiare i tartufi, poi dopo il parto sulle mammelle si struscia una pasta di burro e tubero, così quando si attaccano sentono l’imprinting. Poi a 60 giorni si lanciano palline di tartufo nella cuccia, e si vede chi fiuta e arriva per primo".
Quante cose si fanno con il tartufo?
"Ci fai di tutto, dalle tradizionali 4-5 referenze del conservato (doveva arrivare integro in America viaggiando 3 mesi in nave...) alle creme tra il 95 e l’80%, poi il burro, gli affettati in olio che durano tutto l’anno e garantiscono ai ristoranti un prezzo standard quando non hai il fresco per mantenere il food cost... Già negli anni ’90 si lavorava nel dolce (miele, fichi) e con gli ortaggi; poi negli anni 2000 l’ha scoperto la mixology che lo usa disidratato per finire tanti drink. Un campo immenso".
Lei ha anche "inventato" accosti speciali...
" Ho provato a giocare con spunti orientali tra colori, sapori e spezie per accostarli a qualcosa di più nostro o di più comune, e veicolare il tartufo come una spezia. Ecco perché il lampone o la bottarga nei miei Petali".