IL PREZZO DEL PETROLIO continua a correre, dimostrando ancora una volta quanto sia problematica la dipendenza da questo combustibile fossile e dai suoi fornitori, spesso inaffidabili. Le quotazioni sono in costante crescita da quasi un mese, dopo che Arabia Saudita e Russia (primo e terzo esportatore al mondo) hanno deciso di estendere i tagli alla produzione. La settimana scorsa il ministro dell’Energia saudita ha definito "ragionevoli" i tagli alla produzione petrolifera concordati con la Russia ad agosto, difendendo la recente decisione di Riad di prolungarli almeno fino a fine anno. Il Brent scambiato a Londra, che fa da riferimento per i mercati europei, oscilla in questi giorni intorno ai 95 dollari al barile, ossia 20 dollari in più rispetto all’inizio dell’estate, ma diversi analisti scommettono su quotazioni al di sopra dei 100 dollari nel giro di poche settimane. Come se non bastasse, la Russia ha deciso di bloccare temporaneamente le esportazioni di benzina e gasolio, privando il mercato di quasi il 4% delle forniture in un momento in cui le raffinerie già faticano a soddisfare la domanda. Il prezzo più alto del petrolio si traduce in costi maggiori per benzina e diesel, soprattutto negli Stati Uniti, dove circa la metà del prezzo alla pompa riflette quello delle quotazioni. I prezzi medi negli Usa sono ancora ben al di sotto del record di 5 dollari al gallone registrato nell’estate 2022. Tuttavia, a 3,85 dollari al gallone, sono in aumento di 15 centesimi rispetto a un anno fa. Anche in Europa, dove le tasse sul carburante sono molto più alte, l’impennata del Brent esercita una pressione negativa per i consumatori. In Italia, ad esempio, i prezzi alla pompa sono schizzati a 2 euro al litro. Il rincaro del diesel, a sua volta, danneggia gli agricoltori e aumenta il prezzo dei beni di consumo trasportati su camion. Le economie occidentali sono quindi danneggiate da queste fiammate dei costi del carburante, con il timore che l’inflazione trovi nuova linfa e costringa le banche centrali a essere più aggressive.
La variabile petrolio può ulteriormente fiaccare l’economia mondiale, in un periodo di rallentamento generalizzato. L’indice Hcob Pmi della produzione composita dell’Eurozona è sceso ad agosto a 46,7 da 48,6 di luglio. Il dato segnala il terzo mese consecutivo di contrazione della produzione ed è il maggior calo da novembre 2020. La speranza di un rientro dei rincari è effimera. I sauditi sono particolarmente interessati a far salire i prezzi per finanziare Vision 2030, un piano ambizioso per riformare l’economia del regno e avviare la transizione energetica a spese dell’Occidente, creando posti di lavoro per una popolazione giovane. Il piano prevede diversi progetti infrastrutturali di grande portata, tra cui la costruzione di una città futuristica da 500 miliardi di dollari chiamata Neom. E la Russia? Il petrolio è la principale fonte di introiti per un Paese che non produce altro, quindi i rincari aiutano il Cremlino a pagare la guerra e a contrastare le sanzioni occidentali. L’aumento dei prezzi del petrolio, insieme a una riduzione dello sconto offerto ai clienti asiatici sotto la pressione delle sanzioni, significa che Mosca guadagnerà "entrate decisamente maggiori dalle esportazioni", ha affermato Benjamin Hilgenstock (nella foto), economista della Kyiv School of Economics. I proventi aggiuntivi aiutano a sostenere la valuta russa e a finanziare l’import, compreso l’acquisto di armi e di altri materiali necessari per continuare l’invasione dell’Ucraina. Le entrate in più potrebbero aggirarsi sui 17 miliardi di dollari quest’anno e sui 33 miliardi l’anno prossimo, secondo Hilgenstock. In pratica, quindi, con questi aumenti l’Occidente aiuta l’Arabia Saudita a diventare un suo concorrente sul mercato globale delle fonti rinnovabili e la Russia a proseguire nell’assalto all’Europa.
C’è da dire che la Russia ha perso circa 100 miliardi di dollari di entrate petrolifere con il divieto d’importazione dell’Unione Europea e il tetto massimo di 60 dollari al barile imposto dalle principali economie del Gruppo dei Sette, che impedisce agli assicuratori e ai caricatori occidentali di gestire prezzi del petrolio superiori a tale livello. Putin avrebbe però trovato diversi modi per aggirare il limite, compreso l’utilizzo di una flotta di petroliere fantasma, che mascherano la proprietà e l’origine del greggio trasportato.