Sabato 27 Luglio 2024

Artigiani green. Le imprese B Corp contro l’avanzata della fast fashion

L'industria della moda, una delle più inquinanti al mondo, vede però un crescente numero di aziende abbracciare la sostenibilità. Le B Corp del settore fashion in Italia si distinguono per l'impegno verso l'ambiente e la responsabilità sociale, promuovendo un'economia circolare e modelli di business virtuosi. Anche l'Unione europea si muove verso una produzione tessile più sostenibile con nuove regolamentazioni.

Artigiani green. Le imprese B Corp contro l’avanzata della fast fashion

Artigiani green. Le imprese B Corp contro l’avanzata della fast fashion

CON I SUOI 100 MILIARDI di capi – tra abiti e calzature – sfornati ogni anno a livello mondiale, l’industria della moda si piazza ai primi posti fra quelle più inquinanti: la stima, calcolata dalla società di consulenza McKinsey nel 2014, non tiene conto, peraltro, dell’avanzata inesorabile dell’ultra-fast fashion (un esempio su tutti, la cinese Shein), venduta online e promossa dai social. Un panorama desolante, di fronte al quale sono sempre più numerosi gli operatori della filiera che scelgono di dire no e abbracciare un modello virtuoso di economia circolare. Come le 18 aziende, operanti nel nostro Paese, che recentemente si sono certificate B Corp: Acbc, Artknit, Back Label, Brekka, Dynamo-The Good Company, Endelea, Linificio e Canapificio, Maison Cashmere, Miomojo, North Sails, Out of, Panchic, Peninsula Swimwear, Rifò, Save The Duck, Seay, Successori Reda, Tintoria Jacchetti.

Le B Corp sono imprese che si impegnano a misurare le proprie performance ambientali e sociali con la stessa attenzione tradizionalmente riservata ai risultati economici e credono nel business come forza positiva, finalizzata a creare valore per la biosfera e la società. Se si guarda alle dimensioni aziendali, l’89% di queste B Corp è rappresentato da Pmi: il 72% ha meno di 50 dipendenti; il 17% occupa tra i 50 e 250 lavoratori. Solo tre (l’11% del totale) superano i 250 dipendenti. Complessivamente, queste aziende impiegano oltre 1.800 persone. Guardando ai territori di provenienza, l’83% delle B Corp del settore fashion sono concentrate nel Nord Italia; il restante 17% si trova nel Centro Italia. In particolare, la Lombardia si conferma la regione con il maggior numero di B Corp certificate, seguita da Piemonte, Toscana e Veneto. Al di là della provenienza geografica, ciò che le accomuna non è solo la volontà di raggiungere l’eccellenza produttiva, ma il forte impegno verso la sostenibilità e la responsabilità sociale: esse trovano nell’ambiente la vera innovazione tecnologica da cui partire, per promuovere un cambiamento positivo e autentico nella filiera. L’80% di queste aziende si distingue per gli sforzi compiuti a beneficio dell’ambiente, con particolare attenzione alla conservazione della fauna selvatica e del suolo e alla riduzione di emissioni inquinanti e sostanze dannose per le acque. Non dimentichiamo che la produzione tessile è responsabile, tra l’altro, di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile, a causa dei vari processi cui i prodotti vanno incontro (ad esempio, tintura e finitura). E, stando ai dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, il lavaggio di capi sintetici e tecnici rilascia, ogni anno, 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

Per contrastare questa e altre forme di inquinamento (in primis, l’annoso problema dei rifiuti tessili), le aziende certificate B Corp adottano, fra l’altro, processi di produzione volti a ridurre lo spreco di risorse naturali e limitare gli scarti destinati alle discariche, ad esempio attraverso l’adozione di materiali riciclati e applicazioni energeticamente efficienti. Il restante 20% si distingue per il proprio impegno nel sociale, finalizzato a generare impatti positivi sulla catena di fornitura, non di rado integrando nel proprio modello produttivo le comunità delle località in cui operano. Tra i modelli di business virtuosi e sostenibili messi in pratica da queste aziende ci sono, ad esempio, la realizzazione etica delle collezioni, finalizzata alla valorizzazione di artigiani e imprenditori locali; la creazione di percorsi sostenibili di indipendenza economica per rifugiati, donne e persone in difficoltà; la fabbricazione di capi di alta qualità, composti in fibre naturali, cruelty-free, riciclate o di scarto.

"La filiera della moda è un’eccellenza italiana, con radici profonde nel nostro sapere artigianale - ha commentato Anna Puccio (nella foto sopra), managing director di B Lab Italia, la fondazione che rappresenta e coordina il movimento delle B Corp nel nostro Paese –. Le aziende certificate di questo settore sono la rappresentazione di come il ‘saper fare’ riesca a creare valore aggiunto, partendo dagli impatti positivi per l’ecosistema naturale, le comunità e le persone che ci lavorano. Tali organizzazioni hanno scelto la strategia dell’innovazione, fondendola con la filosofia B Corp. Come B Lab Italia celebriamo e supportiamo i percorsi imprenditoriali più sensibili ai temi della rigenerazione e dell’economia circolare: una caratteristica, quest’ultima, estremamente radicata nel nostro Paese".

Anche l’Unione europea si sta muovendo da tempo nella direzione di una maggior sostenibilità della produzione tessile: a marzo, Europarlamento e ministri dei Paesi membri hanno raggiunto un accordo per il regolamento ‘Ecodesign’ che – con l’orizzonte temporale del 2030 – punta a rivoluzionare l’approccio alla realizzazione di prodotti tessili, capi di abbigliamento, calzature. Obbliga le aziende a migliorare qualità, longevità, riparabilità e riciclabilità dei prodotti. Non sarà più possibile distruggere l’invenduto. La Commissione europea ha proposto, anche per il tessile, la ’responsabilità estesa del produttore’ (Epr), che andrebbe a emendare la direttiva 98/2008 sui rifiuti. La misura invita i produttori ad assumersi la responsabilità dei propri prodotti lungo tutta la catena del valore, anche quando diventano rifiuti, e mira ad aiutare i consumatori a scegliere prodotti tessili realmente sostenibili.