
di Nicoletta Magnoni
Ai tempi della transizione ecologica, il petrolio cambia colore per macchiare di verde l’ambiente. Il nuovo petrolio, oggi, è bianco-argentato. È il litio, metallo alcalino che accende le batterie di auto elettriche, smartphone, dispositivi biomedici, pacemaker. Tappa obbligata nella lunga marcia verso la decarbonizzazione e nuova corsa all’oro. La mappa dei giacimenti disegna un triangolo ad alta speculazione fra Argentina, Bolivia e Cile. All’altro capo del pianeta, Australia e Cina sono i maggiori produttori. E poi c’è sempre "la magnifica torta da spartire", l’Africa, secondo l’infelice campagna lanciata nel 1876 dal re del Belgio Leopoldo II: Niger, Costa d’Avorio, Namibia, Repubblica democratica del Congo sono ricchi di litio e terre rare.
L’Europa, invece, risulta ancora non pervenuta. Un vuoto da colmare se gli analisti prevedono un consumo di litio di 700mila tonnellate annue entro il 2025. La Ue deve muoversi. E non solo perché l’accordo di Parigi sul clima fissa un calo del 37,5% delle emissioni di CO2 entro il 2030. In ballo c’è ben più dell’anima green. Il litio domani, come già fanno i vaccini anti Covid oggi, modificherà la geopolitica globale. Così, i pionieri d’Europa si sono messi in marcia, direzione Portogallo dove l’estrazione supera di gran lunga l’attività mineraria continentale, concentrata in Serbia e Finlandia. Ma le quantità sono risibili, mentre secondo la compagnia inglese Savannah, le rocce portoghesi custodirebbero 280mila tonnellate di litio. Numeri da risvegliare molti appetiti. E infatti l’ultimo report di Bruxelles sulle materie prime strategiche colloca il litio al primo posto, mentre nei tre precedenti rapporti triennali (2011, 2014, 2017) figurava in fondo alla classifica. A invertire la scala delle priorità è il nodo approvvigionamento: la Ue importa l’86% del suo fabbisogno di litio dalla Cina, tuttavia ha l’ambizione dichiarata di arrivare a un’autosufficienza almeno dell’80% entro il 2025. Tempi stretti. E i concorrenti mondiali bruciano le tappe.
Così, seppure in piena pandemia, Bruxelles ha riaperto il dossier European battery alliance, santa alleanza delle batterie verdi che crei una filiera tutta interna ai nostri confini. La Ue ci crede, la Bei ha garantito che aprirà il portafoglio, il governo di Lisbona sta scrivendo il proprio Piano di ripresa e resilienza puntando su un progetto di esplorazione a caccia di litio, condiviso con la Spagna. Già, perché alcuni siti promettenti sono vicini al confine. Tra questi, l’angolo verde di Montalegre dove però le compagnie stanno inciampando nei cartelli piantati da abitanti e ambientalisti: sim à vida, não a mina, sì alla vita, no alla miniera. Del resto, Montalegre è patrimonio agricolo mondiale Fao e vive di ecoturismo. Le proteste fanno emergere il paradosso verde, il pesante impatto sull’ambiente dovuto all’estrazione di quel litio a cui i traghettatori ecologici si affidano per salvare l’ambiente stesso.
In Portogallo la contraddizione è ancora più evidente. Lì, il petrolio bianco non esce dalle saline per evaporazione. Nel Paese europeo il litio è nascosto dentro le rocce e, per trovarlo, è inevitabile l’impiego di esplosivi, solventi, metri cubi di acqua. La ricerca dell’aria pulita sacrifica l’aria stessa, un dilemma. Lisbona tratta, e intanto Bruxelles allunga il passo verso un altro promettente business collegato, il riciclo delle batterie. Il processo, oggi, costa più della produzione. Domani non sarà più così. E il mondo si muove in questa direzione che proietta all’orizzonte un giro d’affari da 18 miliardi di dollari al 2030.