Lunedì 23 Dicembre 2024
ELENA COMELLI
Economia

Lo Stato in Tim, ora l’offerta Kkr Il rebus della rete vede la soluzione

La scadenza è il 30 settembre. Tutta da definire la governance della futura società della Netco

Lo Stato in Tim, ora l’offerta Kkr Il rebus della rete vede la soluzione

di Elena Comelli

Con l’uscita di Tim, la rete italiana delle telecomunicazioni torna sotto l’ombrello delle partecipazioni statali, sul modello di quanto già sperimentato con successo per le reti elettrica (Terna) e del gas (Snam), entrambe confluite sotto la holding Cdp Reti e controllate con una quota intorno al 30-35%. È questo lo scenario che si prospetta se l’offerta che Kkr dovrà presentare, e che dovrebbe vedere al fianco del fondo americano il ministero dell’Economia e altri investitori, andrà in porto. Nella NetCo, la società della rete oggetto della trattativa fra Tim e Kkr, il fondo americano avrà la maggioranza mentre il Mef, con una quota fino al 20%, e probabili altri investitori istituzionali come il fondo F2i e Cdp con una piccola quota, potrebbero andare a consolidare la posizione del nocciolo duro pubblico intorno al 30%. Questo è l’assetto ideale elaborato dal governo, per consentire allo Stato italiano di avere un presidio su un asset di importanza strategica per il Paese. In prospettiva il fondo Kkr, dopo aver fatto gli investimenti necessari a trasformare tutta la rete da rame a fibra ottica nell’arco di 5-7 anni, dovrebbe uscire e monetizzare il profitto, ma lo Stato potrà mantenere il presidio pubblico, anche se la rete dovesse poi essere quotata in Borsa.

Tim attende l’offerta vincolante entro il 30 settembre: si ragiona di cifre nell’ordine di circa 21 miliardi, cui potrebbero aggiungersene due se nei prossimi anni si riuscirà a arrivare anche a una fusione con Open Fiber, andando a formare la cosiddetta rete unica nazionale. Dei 21 miliardi circa metà saranno versati in cash; i restanti saranno debiti che l’asset della rete si porterà dietro al momento del suo scorporo. L’impegno finanziario per il Mef sarà di circa 2,2 miliardi, che attingerà dal fondo Patrimonio e Rilancio e che verserà non prima di un anno, al closing dell’operazione. F2i, da parte sua, potrebbe rilevare fino al 15% della NetCo e da un mese sta sondando gli investitori per capire se sono interessati a impiegare risorse in un fondo dedicato alla rete Tim. In futuro una strada a parte potrebbe essere seguita da Sparkle, la società dei collegamenti telefonici sottomarini, che potrebbe finire in orbita pubblica.

Un tema delicato sarà la definizione della governance della futura società della rete, dove Kkr dovrà avere in mano le leve gestionali, dunque anche la definizione dell’amministratore delegato, e soprattutto vorrà avere sufficienti garanzie che si faccia il piano di investimenti che permetterà alla società di essere valutata con multipli più elevati dal mercato. E bisognerà vedere quali saranno le prerogative che determineranno il presidio pubblico, forse l’indicazione di un presidente e il potere di veto in alcune delibere chiave per lo sviluppo della società. Ma oltre a ciò l’operazione dovrà essere notificata a Palazzo Chigi per le verifiche in termini di golden power, in quanto un soggetto extra Ue entrerà in possesso della maggioranza di un asset strategico come la rete tlc del Paese. E in questo ambito potrebbero essere notificate ulteriori prescrizioni agli azionisti sia sulla governance, sia sulle delibere, sia sugli ambiti di operatività della società.

Resta ancora un’incognita importante: il consenso del gruppo media francese Vivendi, che possiede il 23,7% di Tim. Per oltre un anno il suo ad, Arnaud de Puyfontaine, ha continuato a dire che la valutazione congrua per la rete è di 31 miliardi di euro, ma nessuno si è mai avvicinato a quella cifra. Vivendi potrebbe proporre di portare l’operazione di scorporo della rete al vaglio dell’assemblea straordinaria di Tim, dove può far valere il suo 24%.