Dopo il no di John Elkann ad andare alle Camere, il prossimo confronto è in programma per il 14 novembre, quando il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha convocato il tavolo Stellantis. Ma per i sindacati – ieri in audizione alla Camera – non basta. Chiedono di più, che il confronto si sposti a Palazzo Chigi. Non nasconde l’irritazione per lo sgarbo istituzionale di Elkann anche il ministro Adolfo Urso, proprio perché in attesa dell’audizione ha rinviato la convocazione del tavolo Stellantis. Ma i sindacati non lo considerano più l’interlocutore giusto e vogliono che il confronto si sposti a Palazzo Chigi. "La questione non è più da Mimit ma da presidenza del Consiglio, come Scholz si occupa della questione Volkswagen Meloni si deve occupare della questione Stellantis”, osserva la Fiom Cgil. Anche per il numero uno della Fim Cisl. Ferdinando Uliano, “la presidenza del Consiglio è la sede adeguata per uno scambio virtuoso”. Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm, aggiunge che quello aperto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy si è rivelato “improduttivo e addirittura controproducente”.
Roma, 31 ottobre 2024 – La tensione è altissima. E Michele De Palma, leader dei metalmeccanici della Cgil, non usa mezzi termini per criticare la politica di Stellantis ma anche le scelte del governo, a partire dal taglio dell’80% del Fondo per l’automotive: "È un suicidio per il nostro Paese. Una bomba che farà il deserto. Non è in gioco solo un settore. Distruggere l’automotive rischia di avere ricadute pesantissime su tutta la nostra industria. Dobbiamo impedirlo".
Volkswagen ha annunciato che chiuderà tre stabilimenti. Audi naviga in cattive acque. Che cosa succederà? La crisi sarà dura anche in Italia?
"Guardi, qui c’è un grande equivoco. In Italia il problema è aperto ormai da 15 anni. Basta guardare i dati. Negli anni Novanta la produzione era di due milioni di auto. Ora siamo a meno di 400mila. Un declino che ha avuto conseguenze rilevanti anche per la componentistica. Molte imprese, che prima erano mono-committenti, cioè che lavoravano solo per la Fiat, ora producono anche per aziende francesi o tedesche".
La situazione sta peggiorando ulteriormente?
"Diciamo che la crisi strutturale italiana si sta sommando a quella di altri Paesi, con il rischio di far pagare un prezzo definitivo all’intero sistema produttivo e ai lavoratori".
L’Anfia, l’associazione delle case automobilistiche, parla di 70mila posti a rischio. Sono stime credibili?
"Oggi fare previsioni è molto difficile. Sappiamo bene che ci sono stabilimenti Stellantis e dell’indotto che rischiano, entro la fine dell’anno, di non avere più strumenti sufficienti per assicurare la continuità occupazionale. E su questo abbiamo già aperto una discussione per individuare quegli ammortizzatori sociali necessari per evitare i licenziamenti. Penso, ad esempio, ai contratti di espansione. Ma ci sono altri due elementi da considerare per capire l’impatto della crisi sull’occupazione".
Quali?
"In primo luogo quello che farà effettivamente Stellantis sulle nuove produzioni. Inoltre, bisognerà valutare l’effetto sulla catena produttiva della crisi in Germania. Non è irrilevante la chiusura di tre stabilimenti".
Intanto, il presidente di Stellantis, John Elkann, ha deciso di disertare le audizioni in Parlamento. Uno schiaffo alle istituzioni?
"Noi abbiamo chiesto da tempo la presenza del presidente e dell’ad di Stellantis al tavolo di Palazzo Chigi, chiedendo ufficialmente al premier di occuparsi dell’automotive come sta facendo Scholz in Germania. Del resto il Parlamento ascolta le diverse posizioni. Ma non scopriamo oggi che la proprietà del gruppo non è più italiana. Anzi, da tempo denunciamo l’errore strategico commesso dal governo italiano quando ha concesso un prestito di 6 miliardi a Stellantis senza chiedere, nello stesso tempo, di entrare nel capitale, nella stanza dei bottoni. Come hanno fatto, invece, la Francia e la Germania. Per non parlare di Cina o Stati Uniti, dove il salvataggio della Chrysler è stato fatto con risorse pubbliche".
Come se ne esce?
"Prima di tutto ripristinando e implementando il fondo per l’Automotive, messo in campo dal governo Draghi, che la manovra ha tagliato dell’80%. È una mossa che lancia un messaggio chiaro: il settore può chiudere. E questo è inaccettabile. Nei giorni scorsi abbiamo protestato proprio per chiedere un piano straordinario per l’automotive, nuovi investimenti. Siamo l’unico Paese che non ha un piano di politica industriale per il settore. Ora non abbiamo neanche le risorse che erano state previste. Un suicidio".
Però il governo ha messo in campo una montagna di incentivi.
"Abbiamo sempre detto che i sussidi per l’acquisto avrebbero dovuto essere destinati solo alle auto prodotte in Italia o al massimo in Europa. Invece, abbiamo speso 950 milioni con il risultato che poi si è ridotta la produzione in Italia di oltre il 30% rispetto al 2023".