Roma, 21 marzo 2024 – Tenere in ordine i conti dello Stato o riconoscere un diritto dei cittadini ad avere i soldi (che loro spettano) in tempi (più) rapidi? Questo è il dilemma. E la Ragioneria dello Stato avrebbe optato per salvaguardare il bilancio.
Almeno stando a quanto riportato questa mattina sulle pagine de Il Messaggero che riferisce della doccia fredda per gli statali in attesa della cosiddetta liquidazione (Tfs, trattamento di fine servizio, tecnicamente) e per quelli che la dovranno percepire in futuro.
Il quotidiano romano riporta infatti la notizia che la Ragioneria generale dello Stato ha inviato una nota alla Camera nella quale si chiederebbe di bloccare le proposte (appoggiate sia dalla maggioranza che dall’opposizione) per accorciare i tempi (da un anno a tre mesi almeno per la prima rata) della liquidazione per i dipendenti statali.
Una polemica che era esplosa a metà del 2023 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale (la Consulta) che aveva stabilito come fosse incostituzionale la liquidazione in tempi lungi (si parlava dai 2 ai 7 anni) del Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici invitando il Parlamento a intervenire. Una pronuncia della Consulta alla quale avevano fatto seguito alcune prese di posizione dei sindacati, in particolare della Uil, che chiedevano alla politica di intervenire su questa ingiustizia rivelando anche come, in alcuni casi, gli statali erano costretti a “pagare” 2.000 euro per ottenere un anticipo dei tempi di liquidazione. In pratica si poteva ottenere l’anticipo del Tfs dalle banche pagando però un interesse (arrivato al 4%) che i sindacati avevano quantificato in media intorno ai 2.000 euro per un anticipo della prima rata di 50.000 euro.
E la politica effettivamente si era mossa mettendo in campo una proposta (bipartisan) per ridurre da un anno a tre mesi il tempo di pagamento della prima rata del Tfs, aumentando anche l'importo di questo primo versamento da 50mila fino a poco più di 63mila euro. Un “anticipo del ritardo”, in base ai calcoli effettuati dall'Inps, avrebbe un costo di 3,8 miliardi di euro per le casse dello Stato solo per il 2024. Esborso per il quale non sarebbe prevista una copertura.
Oggi, sempre in base a quanto riportato dal quotidiano romano, il versamento della liquidazione arriva dopo un anno e a rate. La prima rata, per giunta, può arrivare al massimo 50mila euro, la seconda, per la quale occorre aspettare un altro anno, fino a un massimo di 100mila euro e la terza, a due anni dalla prima, per la parte restante. I tempi però, si allungano ancora se il dipendente lascia il lavoro con uno scivolo pensionistico e, dunque, il ritardo può arrivate anche a cinque anni. Insomma uno lascia il lavoro oggi e si vedrà liquidare il Tfs (soldi suoi) completamente non prima di 3/4 anni.
La relazione tecnica predisposta dall'Inps "è stata negativamente verificata dalla Ragioneria generale dello Stato”, ha spiegato il presidente della commissione Walter Rizzetto, secondo quanto riporta il resoconto della seduta. “La disposizione, attraverso la riduzione dei termini per il pagamento del Tfs/Tfr da 12 a 3 mesi” e “la rivalutazione dei limiti di importo per l'erogazione rateale del medesimo trattamento”, si legge nella nota della Ragioneria, determina “effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in particolar modo in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, privi di copertura”.
Questi oneri come detto, che nel testo “non sono indicati – rileva la Ragioneria – , nella relazione tecnica dell'Inps sono quantificati in 3,8 miliardi per quest'anno”. La Ragioneria rileva anche che “la decorrenza retroattiva potrebbe alimentare contenziosi e comportare, pertanto, ulteriori oneri”.
"Ora proveremo a lavorare a una proposta alternativa, che non impatti in maniera importante sui flussi di cassa”, spiega Rizzetto interpellato sulla questione. Nel corso della seduta di ieri, secondo quanto riporta il resoconto, Alfonso Colucci, deputato M5s e firmatario di una delle due proposte di legge (l'altra è firmata da Roberto Bagnasco, di Fi) , ha indicato la necessità che tutti i gruppi si confrontino al fine di giungere a “soluzioni efficaci a tutela dei lavoratori coinvolti”, evidenziando come “il problema esista e coinvolga il riconoscimento di un diritto sancito dalla stessa Corte costituzionale”.