Domenica 22 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Consulta: incostituzionale pagare a rate la liquidazione ai dipendenti pubblici

La Corte Costituzionale ha stabilito che è illegittimo differire (a volte fino a 5 anni) il pagamento e ha invitato il Parlamento a intervenire

ROMA - Il rinvio e la rateizzazione del pagamento della liquidazione ai dipendenti pubblici (in gergo il Trattamento di fine servizio) non sono una formula costituzionalmente corretta. A stabilirlo è una sentenza della Consulta che, però, per evitare impatti drammatici della decisione sulla spesa pubblica, rinvia di fatto al Parlamento il compito di intervenire per una soluzione graduale, ma accettabile.

Tribunale (foto d'archivio)
Tribunale (foto d'archivio)

La sentenza

Anche se, a fine maggio, il Presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha sostenuto che l’erogazione immediata o ravvicinata del Tfs avrebbe comportato un "costo di 14-15 miliardi” che sarebbe “alla portata dell’Inps”. Un avviso che potrebbe e dovrebbe comportare un cambio di rotta fin dalla prossima manovra.

Le motivazioni

Ma torniamo alla sentenza della Corte costituzionale, firmata dalla giudice Maria Rosaria San Giorgio. "Il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (Tfs) - si legge nel provvedimento - spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione”. Non solo. “Si tratta - si spiega dalla Corte - di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana”.

Approfondisci:

Contratti a tempo determinato, assunzioni e rinnovi più facili: ecco come

Contratti a tempo determinato, assunzioni e rinnovi più facili: ecco come

Il dilazionamento

Le regole attuali, al contrario, prevedono che i lavoratori pubblici devono per legge aspettare 12 mesi se raggiungono i requisiti di età e di servizio per la pensione di vecchiaia; 24 mesi se la cessazione del rapporto di lavoro è avvenuta per dimissioni volontarie. Senza contare che nel caso di Quota 100 o 102 si può arrivare a un’attesa anche di cinque anni.

Fino a tre rate

Gli importi da incassare, per di più, sono anche rateizzati: il pagamento è in un’unica soluzione per i trattamenti pari o inferiori a 50.000 euro; in due rate annuali se il trattamento è tra 50.000 e 100.000 euro; in tre rate annuali se è pari o superiore a 100.000 euro.

Approfondisci:

Liquidazione, statali costretti a pagare 2000 euro per ottenerla (in ritardo)

Liquidazione, statali costretti a pagare 2000 euro per ottenerla (in ritardo)

L’impatto sui costi Inps

Il punto è che l’intervento della Consulta non significa che le regole sono destinate a cambiare automaticamente. "Spetta al legislatore - avvisano i giudici - avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria”.

Approfondisci:

Pensioni, quattordicesima 2023: quando arriva e a chi spetta. Le cifre

Pensioni, quattordicesima 2023: quando arriva e a chi spetta. Le cifre

Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo – puntualizzano dalla Corte – non è temporalmente illimitata. "E non sarebbe tollerabile - si insiste - l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame”.

Non basta, a attenuare il contrasto con la Costituzione, la considerazione che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Comunque, si conclude dalla Corte, “tale normativa - che era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici - in quanto combinata con il differimento della prestazione, finisce per aggravare il rilevato vulnus”.