Roma, 26 ottobre 2024 – "E io pago", come diceva Totò in 47 morto che parla. Ma con l’allargamento della web tax e l’innalzamento della tassazione sulle cripto-attività dal 26% al 42% i morti che parlano rischiano di essere due: i consumatori e le aziende più innovative. "Una Digital services tax più pesante – fa notare Paolo Barberis, cofondatore di Dada e papà di Nana Bianca, incubatore di startup – finirà per essere scaricata sulle tasche dei consumatori". Tradotto? Se la manovra non verrà modificata, finiremo in moltissimi casi per pagare di più online la prenotazione di un hotel, il biglietto di un concerto o un paio di scarpe.
Il governo ha fatto bene a togliere il tetto sulla web tax?
"No, è stata una norma inserita all’ultimo e senza confronti con le associazioni di settore o una ricerca approfondita. L’estensione della web tax e la maggiore tassazione sulle cripto-attività zavorrano un mercato che è già in forte ritardo. Si va nella direzione opposta al modo in cui viene raccontato lo sviluppo del Paese: si colpiscono transizione digitale e innovazione".
Dalla rimodulazione di web tax e cripto imposte il governo raccoglierà meno di 70 milioni aggiuntivi. Il danno supera i benefici?
"Colpiamo un settore in cui l’Italia è fanalino di coda e soprattutto le piccole e medie imprese, che, a differenza delle multinazionali, non hanno i mezzi per farsi sentire col governo".
Rischiamo una fuga di capitali verso l’estero?
"L’incertezza del quadro normativo è sempre penalizzante. Chi vorrebbe investire in Italia si chiede: ‘Perché dovrei farlo, visto che poi cambieranno improvvisamente le regole?’. È un quadro desolante. Norme che spuntano dal nulla e senza una ratio andrebbero evitate. Andrebbero introdotte, invece, spiegando bene il perché e quali benefici si dovrebbero ottenere. Lo sviluppo passa attraverso il digitale e noi cosa facciamo? Colpiamo le startup e le piccole e medie imprese innovative".
Cioè?
"Le startup hanno bilanci in perdita per diversi anni prima di decollare. Tassare al 3% i ricavi, cosa ben diversa dagli utili, è un duro colpo per questo tipo di realtà. Oltre a uno storico ritardo, sembra quasi che ci sia una volontà vessatoria verso la transizione digitale, che in realtà è nell’agenda di Italia e Ue".
Non sarebbe stato meglio aspettare la digital tax europea?
"Già introducendo la web tax per le grandi compagnie avevamo anticipato i tempi rispetto all’Europa. Stiamo mandando il messaggio che il digitale non ci interessa e che invece preferiamo settori più tradizionali. Quello che possiamo auspicare, a questo punto, è una discussione tranquilla e trasparente con il governo".
Anche l’editoria verrà interessata dalla nuova web tax. Cosa ne pensa?
"Si colpisce inutilmente un settore che avrebbe avuto bisogno dell’esatto contrario. Coi motori di ricerca e i chatbot è sempre più difficile andare a leggere direttamente sui giornali articoli completi con informazioni approfondite. E non c’è nulla di più importante di un’informazione diffusa, libera e che arrivi a tutti in maniera democratica".