di Massimo Pandolfi
Guai a definirlo un imbonitore tivù. Peggio ancora paragonarlo a Guido Angeli, Wanna Marchi, il ‘baffo’ Roberto da Crema o a Giorgio Mastrota: si infuriava. Per tutta la vita Cesare Ragazzi, leone di segno zodiacale e di fatto, ha coltivato un’idea meravigliosa e dicono l’abbia messa in testa a quasi un milione di persone in tutto il mondo. Ma unirlo ai nomi dei signori di cui sopra no: per lui era quasi un affronto.
In una delle sue ultime interviste rilasciata a Giacomo Galanti su Repubblica disse: "Loro vendevano delle cose, buone o cattive non sta a me dirlo. Io vendevo e vendo una mia invenzione che risolve un problema estetico. È un po’ diverso. Io vendevo la mia idea meravigliosa". Fu uno dei primissimi imprenditori a mettere la propria faccia al servizio della pubblicità del proprio prodotto. Tanti di voi ricorderanno quelle immagini simbolo degli anni Ottanta e che riproponiamo in questa pagina: il re del capello riemergeva elegantemente dall’acqua mostrando una capigliatura ancora perfetta. Erano immagini che trasmettevano signorilità e serenità.
"Salve, sono Cesare Ragazzi. Tutto può succedere a un calvo che si è messo in testa un’idea meravigliosa". La prima parte della frase era farina del suo sacco, la seconda frutto di una strategia pubblicitaria di un’agenzia di Milano.
I suoi spot televisivi spopolavano e martellevano gli italiani, pure di notte. Li trasmettevano, altra strategia, anche tra un film porno e l’altro. E se cento persone al giorno chiamavavano per chiedere informazioni, in venti poi firmavano il contratto e facevano l’impianto. In poche parole: si mettevano il parrucchino. Cnc (capelli naturali a contatto) il nome dell’idea meravigliosa. Anti calvizie.
"Capelli veri, non finti" ha ripetuto lui per più di cinquant’anni, fino quasi allo sfinimento. Se la sono appiccicata in testa, la sua idea meravigliosa, attori e politici, calciatori e cantanti. Segretissima la lista ufficiale, "in certi momenti era più facile confessare un reato".
Cesare Ragazzi ha fatto due sole eccezioni: un sì e un no. Lucio Dalla, il sì, suo amico e cliente storico. Pensate che Alessia Ragazzi, sua figlia, professione scultrice, ha costruito anche la statua dedicata al cantante, ora in Piazza Cavour a Bologna. Silvio Berlusconi resta invece il suo cruccio: "Ho cercato mille volte di convincerlo, non c’è stato niente da fare".
Cesare Ragazzi in fondo ha sdoganato l’idea del maschio più o meno alfa che può rifarsi i capelli, senza vergognarsi. O che a un certo punto sceglie di rasarsi completamente. O infine, ultima frontiera, vola in Turchia perché si spende meno e questi viaggi della ricrescita sono diventati un cruccio per il re del capello negli ultimi anni della sua vita. Diceva: "In un centimetro quadrato ci stanno circa 150 capelli, quelli vanno in Turchia per poi tornare con quattro peli in testa. Al massimo si fanno il riporto. Se hai una calvizie estesa, ti mancano 40-50mila capelli, in quei centri se ti va bene te ne mettono un quinto. Col mio metodo i capelli sono veri e sono tanti".
Da ragazzo Cesare Ragazzi da Bazzano Emilia, metà strada fra Bologna e Modena, suonava la chitarra e cantava in una band, I Vagabondi. A vent’anni cominciò a spelacchiarsi e decise di diventare in qualche modo imprenditore di se stesso.
Fu un genio, poche storie. "Feci come Steve Jobs", ci ha scherzato sopra per anni. Prese una cantina di Anzola Emilia pagata 19 milioni di lire con delle cambiali da un milione al mese e cominciò a elaborare il suo progetto, che è diventato una gigantesca operazione di marketing e in fondo anche di felicità collettiva. Ma all’inizio si fece un mazzo così, lavorando anche sedici ore al giorno. Poi il boom: settecento dipendenti, ottanta centri in tutta Italia, otto nel mondo. E lui, il papà di tutto, va in tivù in mille trasmissioni cult, rifiuta di interpretare se stesso nel film ’Arrapaho’ degli Squallor e allora gli mettono una controfigura, viene citato nei film di Vanzina e del duo Villaggio-Dorelli.
Peccato che nel 2009, dopo quarant’anni, la bella favola sia finita con un fallimento in tribunale, a Bologna, per la società da lui fondata. Nel 2017 ha poi patteggiato anche una pena di due anni e otto mesi per bancarotta fraudolenta. Una ferita, per Cesare, che comunque fino all’ultimo si è occupato dei capelli. Non solo suoi.
Agli esordi, per sbarcare il lunario, Cesare Ragazzi vendeva pentole e padelle ("che non si appiccicano") casa per casa, ha fatto il meccanico, ha gestito un bar e la sera andava a suonare e cantare. A volte distribuiva le noccioline al cinema. Si tormentava quando si toccava i capelli sempre più radi e che, dannazione, gli continuavano a cadere. "Ma al cinema davano sempre un mucchio di western americani, quando gli indiani sconfiggevano i cowboy come trofeo gli facevano lo scalpo. Dentro di me dicevo: se si possono togliere i capelli a un morto, si possono mettere anche a uno vivo".
Et voilà, eccola l’idea meravigliosa: è nato tutto così.