"Il nuovo piano industriale invoglia l’appetito per Generali". Philippe Donnet spiega così la mossa di Unicredit, che sarebbe salita al 4,1% del capitale (più uno 0,6% di sottostante) in una logica opportunistica dato l’appeal speculativo del Leone, il cui titolo ha raggiunto i massimi dal 2007. Il piano, ha detto il ceo di Generali, "è molto promettente e preannuncia molta remunerazione" per gli azionisti, quindi "non sono sorpreso che investitori istituzionali abbiano interesse di unirsi a noi". Un blitz a sorpresa, quello della banca guidata dall’ad Andrea Orcel, che ha subito chiarito di non avere "nessun interesse strategico sulla compagnia" e definito l’acquisto di azioni Generali "solo un investimento finanziario".
Spiegazioni coincidenti che però non convincono il mondo della finanza, soprattutto se collocate all’interno di uno scenario complesso e in evoluzione di ora in ora. In realtà, l’ipotesi più probabile è che Unicredit abbia deciso di scendere in campo nella partita per Generali non per speculare sulla quotazione del titolo, ma piuttosto per spostare i fragili equilibri che si prefigurano in vista dell’assemblea del Leone, in programma il prossimo 8 maggio, in cui si confronteranno Mediobanca da una parte e dall’altra l’asse Delfin-Caltagirone, che da tempo contestano la gestione Donnet e si sono schierati contro la decisione della compagnia di siglare una maxi alleanza nel mondo del risparmio gestito con i francesi di Natixis.
Se per il rinnovo del board si arrivasse allo scontro tra le due liste, ecco che Unicredit potrebbe giocare il ruolo di ago della bilancia, considerato anche che la partita per Generali è legata a doppio filo con l’Ops di Montepaschi su Mediobanca. Piazzetta Cuccia è il primo azionista di Generali, con Delfin e Caltagirone che detengono la seconda e la terza maggior quota, rispettivamente con il 19% e il 5%. Delfin (vicina al 10%) e Caltagirone (5%) sono anche azionisti di peso in Mps, dove il Mef con l’11,7% è ancora il primo socio.
Unicredit apre così un terzo fronte – dopo quelli di Commerzbank e di Banco Bpm – per rafforzare il proprio ruolo in Italia e soprattutto in Europa, buttando benzina sul fuoco di un risiko finanziario in cui si intrecciano altre sfide in corso. Tra cui quella per Banco Bpm, dove Unicredit deve fare i conti con l’opposizione dell’ad Giuseppe Castagna, che persegue una strategia di crescita stand-alone, e l’irritazione del Mef che invece puntava sulla banca di piazza Meda per far nascere l’auspicato terzo polo tramite l’aggregazione con Montepaschi. A maggio comunque il quadro per Orcel sarà più chiaro. Non solo in Germania, dove il 23 febbraio ci sono le elezioni politiche e dove è atteso il via libera della Bce a salire al 29,9% di Commerzbank. Anche in Italia: qui il governo ha 45 giorni di tempo dalla notifica per il golden power (che ancora Piazza Gae Aulenti non ha inviato, ma lo farà a breve) per decidere se esercitare o meno il potere speciale sull’offerta di scambio per Banco Bpm.
Il blitz di Unicredit in Generali è stato accolto positivamente a Piazza Affari, dove ieri il titolo del Leone è salito oltre quota 31 euro, per poi concludere in rialzo dello 0,33% a 30,7 euro, sempre sui massimi. Debole, invece, Unicredit (-0,72%). In direzioni diverse le altre protagoniste del risiko: Mediobanca ha perso lo 0,79% a 15,7 euro, Mps è ripartita (+1,42% a 6,3 euro), mentre continuano i rumors di un ritocco in contanti dell’offerta di scambio annunciata da Siena su Piazzetta Cuccia.
Il mercato, intanto, guarda alla tornata di risultati bancari in arrivo. Apre le danze oggi Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana rimasta a guardare le mosse delle concorrenti, mentre domani tocca al gruppo francese Crédit Agricole, osservato speciale in questa fase soprattutto per il suo ruolo di azionista di peso in Banco Bpm. La settimana prosegue giovedì con i risultati di Mps, possibile occasione per il ceo Luigi Lovaglio per aggiungere elementi al dossier Mediobanca, il cui amministratore delegato, Alberto Nagel, parlerà lunedì 10 febbraio presentando la semestrale.