Lunedì 16 Dicembre 2024
REDAZIONE ECONOMIA

Voglia di cambiare lavoro. La tentazione degli italiani

INSODDISFATTI del proprio lavoro. Demotivati dalla spiacevole sensazione di essere ai margini del progetto aziendale. È la fotografia degli italiani...

Voglia di cambiare lavoro. La tentazione degli italiani

SINDROME DA ‘QUIET QUITTING’ Il 12% degli italiani si dichiara affetto dal fenomeno che consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza fare straordinari o assumersi responsabilità

INSODDISFATTI del proprio lavoro. Demotivati dalla spiacevole sensazione di essere ai margini del progetto aziendale. È la fotografia degli italiani scattata da Polimi e Lifeed nella ricerca ‘La transilienza al lavoro. Come valorizzare le competenze personali e trasferirle in azienda’, secondo cui il 42% degli occupati ha cambiato lavoro quest’anno o ha intenzione di farlo nel prossimo futuro. Una percentuale solo leggermente inferiore a quella registrata nel periodo pandemico. Per il 36% di loro, il motivo è il malessere psico-fisico strettamente collegato al turnover: nel 2024, infatti, solo il 19% si dichiara "pienamente ingaggiata al lavoro" (rispetto al 26% del 2023) e il 12% si dice affetto da ‘Quiet Quitting’. Questo trend è reso evidente anche dalle aziende: l’88% di esse ha percepito difficoltà nell’assumere nuovo personale; il 54% ha affermato che il numero dei rifiuti delle offerte di lavoro o dei candidati che si ritirano dal processo di selezione è aumentato e il 17% che i nuovi assunti cambiano lavoro dopo pochi mesi dall’assunzione.

"La percentuale di persone che desiderano cambiare lavoro, i bassi livelli di engagement e la difficoltà delle aziende ad essere attrattive sono segnali di malessere del mercato del lavoro – spiega Martina Mauri (nella foto), direttrice dell’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano – Quello che si sta delineando è un disallineamento tra ciò che le persone vogliono, e si aspettano, e ciò invece che le organizzazioni offrono".

Solo il 30% degli intervistati percepisce di essere pienamente impiegabile, il 64% ha dichiarato che l’acquisizione di competenze e le iniziative a supporto dell’impiegabilità sono elementi fondamentali o molto rilevanti nella scelta di un nuovo lavoro. Lo studio dimostra che la maggior parte delle competenze soft (tra il 60 e il 70%) si sviluppa e si utilizza principalmente al di fuori del contesto lavorativo, in ruoli ed esperienze di vita personale: essere figli, genitori, amici, coltivare hobby e passioni, vivere cambiamenti significativi.

"Portare sul lavoro le competenze trasversali sviluppate nella vita personale, e viceversa, è una meta-competenza che abbiamo chiamato ‘transilienza’, che ha permesso di colmare il gap di soft skills presente nell’organizzazione, migliorando l’efficacia, il coinvolgimento e il benessere" aggiunge Chiara Bacilieri, Head of Innovation di Lifeed. Inoltre le persone riescono ancora poco a mettere al servizio dell’organizzazione competenze e ruoli appresi in contesti diversi da quello lavorativo (solo il 14%). Le ragioni di tale difficoltà sono da ricercare nella cultura organizzativa e nello stile di leadership dei manager. Poi, solo il 9% dei lavoratori concorda sul fatto che il proprio manager sia in grado di valorizzare il suo potenziale e solo il 6% ha completa fiducia nella capacità dell’organizzazione di farlo.

Tornando alle aziende, la ricerca rileva che la mancanza di un’analisi preliminare di quelle che saranno le competenze chiave in futuro limita l’impiegabilità futura dei propri dipendenti: solo il 24% delle Direzioni Hr ha implementato azioni di sviluppo e riqualificazione, cui si aggiunge il 12% che lo farà nei prossimi mesi.