Merola *
Pur essendo il lavoro da remoto un fenomeno ormai diffuso e consolidato nel nostro Paese, sinora nessuno si era mai preoccupato di riconoscere un diritto alla disconnessione a favore dei lavoratori che ne sono interessati. È quindi nell’ottica di riempire tale vuoto normativo che è stata recentemente presentata una proposta di legge volta a disciplinare il diritto del lavoratore alla disconnessione dagli strumenti informatici. Secondo il disegno di legge, al lavoratore viene riconosciuto un vero e proprio diritto di non ricevere comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro e, comunque, per un periodo di almeno 12 ore dalla fine del turno lavorativo. Sono fatti salvi i casi di necessità o urgenza, che, oltre a dover essere motivati, non potranno comunque comportare alcun obbligo di attività in capo al lavoratore. È importante evidenziare che tale diritto è riconosciuto in favore non solo dei lavoratori subordinati ma anche dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti. La proposta di legge non si limita a prevedere il diritto alla disconnessione, ma anche a sanzionarne la violazione con importi che possono arrivare sino a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato (ed è forse questa la vera novità). Il disegno di legge prevede inoltre l’obbligo del datore di lavoro con più di 15 dipendenti di mettere a disposizione del lavoratore gli strumenti informatici necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa e di sopportarne i relativi costi di gestione.
Resta da chiedersi se tale disciplina sia davvero idonea allo scopo per cui è stata pensata, ovvero quello di garantire l’equo bilanciamento delle esigenze vita-lavoro e, soprattutto, di contrastare il fenomeno della ‘iperconnessione’ lavorativa e dei conseguenti rischi di stress e disturbi legati al lavoro. A parere di chi scrive, se da una parte è apprezzabile l’iniziativa di istituire e disciplinare a livello normativo il diritto alla disconnessione, dall’altra appaiono evidenti i limiti che la proposta di legge presenta nella misura in cui lega il diritto alla disconnessione a parametri temporali come l’orario ordinario di lavoro o il turno lavorativo, i quali non trovano però rispondenza nei nuovi modelli organizzativi caratterizzati, al contrario, da regimi orari flessibili e non sempre misurabili (si pensi, ad esempio, allo smart working).
L’auspicio, quindi, è che la proposta di legge venga sì portata avanti, ma con l’accortezza di disciplinare il diritto alla disconnessione in sintonia con le nuove modalità di lavoro e le esigenze di flessibilità oraria da cui sono caratterizzate. Più che sull’orario di lavoro, sarebbe piuttosto preferibile che la disciplina fosse incentrata sull’adozione di specifiche misure tecniche e organizzative in grado di assicurare l’effettiva disconnessione del lavoratore dagli strumenti informatici.
* Avvocato, Associate Partner
di Pirola Pennuto Zei & Associati