Martedì 16 Luglio 2024

Tempo di grandi dimissioni. Ma più della metà si pente

Lavoro in Italia: alta percentuale di cambi di lavoro, ma anche di pentimenti. Mancanza di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Preoccupazione per l'Intelligenza Artificiale. Focus sull'importanza del benessere e della felicità sul lavoro.

Tempo di grandi dimissioni. Ma più della metà si pente

Tempo di grandi dimissioni. Ma più della metà si pente

È ANCORA tempo di grandi dimissioni. Ma anche di veloci pentimenti. Il 42% degli italiani, infatti, ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi o ha intenzione di farlo a breve. Tra questi, però, il 56% si è già pentito della decisione e vorrebbe tornare indietro. Magari alla ricerca di quella felicità sul lavoro che appena il 5% degli italiani dice di avere raggiunto, mentre solo il 9% afferma di stare bene nell’impiego attuale considerando le tre dimensioni del benessere: fisico, psicologico e relazionale. Lo certifica l’indagine realizzata dall’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con BVA Doxa, secondo cui un dipendente su tre si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di stress o ansia. Allo stesso tempo, l’88% delle aziende fatica ad assumere nuovo personale e, in più della metà dei casi, la difficoltà è cresciuta nell’ultimo anno. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è dovuto soprattutto alla carenza di candidati con competenze tecniche (57%) e soft (36%), ma anche alla mancata corrispondenza tra quanto offerto dalle aziende e quanto desiderato dalle persone in termini di stipendio, carriera, flessibilità e stile di vita.

Una delle principali fonti di malessere resta l’incapacità di trovare un equilibrio tra vita lavorativa e vita privata: in un anno sono raddoppiati i job creeper (dal 6 al 13%), ovvero coloro che non riescono a smettere di lavorare e lo fanno in momenti che dovrebbero dedicare alla propria vita privata, mentre è stabile il numero dei quiet quitter (12%), i lavoratori che fanno il minimo indispensabile senza essere coinvolti emotivamente nelle attività che svolgono. Il 26% dei lavoratori ha già utilizzato soluzioni di Intelligenza Artificiale generativa nell‘ultimo anno, anche se pochi in maniera continuativa (solo il 3% ogni giorno e il 7% un paio di volte a settimana) e l’attività principale è stata la semplice ricerca di informazioni (31%). Ma l‘impatto potenziale è alto: secondo i lavoratori, il 24% delle proprie attività possono essere già svolte con il supporto di soluzioni di IA generativa. E quasi uno su due è preoccupato delle conseguenze, non tanto per il rischio di perdere il lavoro (12%), ma per la possibilità che diventi più precario (26%) o che le proprie competenze siano meno rilevanti (22%). I più ottimisti, invece, vedono nell‘IA generativa un‘alleata per svolgere meglio il lavoro (29%), sviluppare nuove competenze (23%) e lavorare meno (21%).

"Il mondo del lavoro negli ultimi anni – spiega Mariano Corso (nella foto), responsabile scientifico dell‘Osservatorio HR Innovation Practice – è stato interessato da una vera e propria rivoluzione e la ricerca del ‘vivere bene‘ è una risposta alle incertezze emergenti: se in passato il lavoro era il centro delle aspirazioni e dei progetti di autorealizzazione per crescere anche di ruolo e status sociale, ora la fragilità del futuro sembra spingere le persone soprattutto a stare bene qui e ora. Nel lavoro si cerca un benessere economico e mentale, in cui la flessibilità nei tempi e luoghi è fondamentale. E‘ necessario quindi ripartire dalle basi per costruire un nuovo approccio al lavoro orientato alla felicità, che preveda insieme giusto riconoscimento, flessibilità, work-life balance, inclusione e valorizzazione".