Martedì 23 Luglio 2024

Sos laureati: uno su quattro vorrebbe lavorare all’estero

La ricerca del Boston Consulting Group evidenzia che la burocrazia, il fisco e la lingua penalizzano l'attrattività del mercato del lavoro italiano. Il 24% dei laureati è tentato di lavorare all'estero, con la Svizzera come meta preferita.

Sos laureati: uno su quattro vorrebbe lavorare all’estero

Sos laureati: uno su quattro vorrebbe lavorare all’estero

MODA e design non bastano. Burocrazia e fisco, oltre alla lingua, penalizzano l’attrattività del mercato del lavoro italiano, che perde una posizione rispetto al 2020 – passando dall’undicesimo al dodicesimo posto a livello globale – e vede il 24% dei propri laureati tentato di intraprendere un’avventura professionale all’estero. Lo certifica una ricerca di Boston Consulting Group (Bcg) che indaga la mobilità dei talenti e la capacità di attrarne delle maggiori nazioni mondiali. Frena rispetto al boom della pandemia la fuga di talenti dall’Italia, ma preoccupa il fatto che a voler lasciare il nostro Paese siano soprattutto i più giovani e i più formati. Il 15% degli intervistati italiani si dice disposto a lavorare all’estero, un dato che torna in linea con il 17% del 2018, crollando rispetto al 57% del 2020. Ma tra chi ha meno di 30 anni la percentuale sale al 20% e, tra chi ha laurea, master o dottorato, uno su quattro (24%) è pronto a lasciare l’Italia. Tra le motivazioni che li spingono a trasferirsi all’estero, emergono le offerte di lavoro concrete (67%), i fattori economici (66%), il miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%).

I professionisti italiani intenzionati a spostarsi si aspettano supporto concreto dal futuro datore di lavoro, nello specifico: assistenza per l’alloggio (78%), visto e i permessi di lavoro (63%) per la lingua (59%). La meta ideale per gli italiani resta la Svizzera, seguita da Spagna, Germania, Usa, Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda. Chi decide di restare in Italia, invece, indica il motivo principale nell’impossibilità di portare con sé familiari e/o partner (54%), seguito dal forte legame affettivo con la propria nazione (26%) e dal costo della ricollocazione (25%).

A livello globale, i Paesi di lingua inglese e con economie forti continuano a dominare la classifica delle mete più ambite dai lavoratori: l’Australia si aggiudica il primo posto, seguita da Usa, Canada e Regno Unito. Tra le città, nonostante la Brexit, Londra rimane la più attraente grazie all’estrema diffusione della lingua e alla rete globale che rappresenta. Seguono Amsterdam, Dubai e Abu Dhabi, ma nella top 30 delle città ci sono anche new entry quali Bangkok (17° posto), Chicago (24°) e Atene (27°). New York, al quinto posto, guadagna tre posizioni rispetto al 2020. L’Italia risulta attrattiva per chi proviene da Argentina (19%), Egitto (11%), Marocco, Romania e Tunisia (10%). Il 72% ha indicato la qualità della vita come motivo principale, seguito dalla qualità delle opportunità lavorative e dalla cultura accogliente e inclusività (45%), costo della vita (34%) e ambiente family-friendly (33%).

"Dallo studio – afferma Matteo Radice (primo a sinistra nella foto), managing director e partner di Bcg – emerge che nel nostro Paese c’è una percezione di complessità burocratica, ad esempio su permessi di soggiorni e visti. Poi c’è una struttura fiscale e contributiva che è particolarmente onerosa per i lavoratori altamente qualificati e con compensi elevati, che possono trovare altrove regimi fiscali più interessanti. A questo si aggiunge la lingua: in Italia l’inglese non è diffusamente parlato e le persone che sono ben incanalate verso una carriera internazionale lo utilizzano come lingua di comunicazione. Il nostro Paese è molto attrattivo in alcuni ambiti come la moda, il design e una certa manifattura e lo è meno per altri settori, come ad esempio quelli ad alto contenuto tecnologico".