Martedì 16 Luglio 2024

Produttività e competenze. Il lavoro scommette sull’IA

L'introduzione dell'Intelligenza Artificiale sul lavoro genera trasformazioni significative, con prospettive positive ma anche preoccupazioni legate a disuguaglianze e trasparenza degli algoritmi. Gli esperti individuano un impatto dirompente e un nuovo rapporto tra uomo e tecnologia nel mondo del lavoro.

CHI HA PAURA dell’Intelligenza Artificiale? Pochi. Almeno sul lavoro, una delle dimensioni sociali in cui l’introduzione di sistemi di IA sta generando maggiori trasformazioni. Diversamente dai cambiamenti tecnologici avvenuti nel passato, l’IA presenta tratti del tutto peculiari: espande in modo significativo la gamma di attività che può essere automatizzata, interessando anche quelle di carattere cognitivo, e si pone come "innovazione in grado di apportare evidenti benefici, a partire dalla creazione di nuove competenze e opportunità occupazionali". La pensa così un campione qualificato di intervistati (rappresentanti delle istituzioni, dell’università, del mondo della ricerca, delle parti sociali e del lavoro) protagonisti dell’indagine promossa dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, convinti, nel 66,7% dei casi, che gli strumenti tecnologici avanzati favoriranno "l’aumento della produttività, con possibili ricadute positive anche sui livelli salariali (47%) e sulla qualità dell’occupazione (45,3%).

Sono percepiti con minore intensità i risvolti positivi che l’IA potrebbe avere con riferimento al miglioramento della sicurezza sul lavoro, con la riduzione di compiti gravosi e rischiosi, la personalizzazione delle misure e della formazione (indica tale item il 34,2% dei rispondenti) così come alla possibilità di una più efficace gestione del personale, indicata dal 30,8%. Solo il 17,1% individua, tra le principali opportunità dell’IA, la possibilità che le nuove tecnologie possano supplire alla carenza di lavoratori che sempre più connoterà il mercato nei prossimi anni, mentre è residuale (4,3%) la quota di quanti vi vedono un’opportunità per ridurre iniquità e discriminazioni nel mercato del lavoro. Invece, si evidenzia nello studio, a destare preoccupazione è "il possibile ampliamento delle disuguaglianze interne al mercato, con il rischio di spiazzamento dei lavoratori più anziani, o poco digitalizzati (46,2%)", nonché "la scarsa trasparenza degli algoritmi, il modo in cui sono costruiti e il rischio di decisioni potenzialmente lesive dei diritti degli occupati (41,9%)".

Il giudizio espresso dagli esperti individua nell’IA un tipo di innovazione diversa, che presenta forti elementi di discontinuità con quelle avvenute nel più recente passato. La maggioranza (55,2%) pensa infatti che l’impatto dell’IA possa essere dirompente, nel momento in cui determinerà un nuovo rapporto tra uomo e tecnologia nel lavoro, che avrà rilevanti implicazioni a livello economico e sociale. A seguire, il 34,5%, pur collocando l’avvento dell’IA nel solco e in continuità con i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, pensa che tale innovazione abbia comunque dei tratti distintivi rispetto alle più recenti, per la trasversalità dell’impatto (interessa anche le funzioni cognitive e quindi una platea molto più estesa di lavoratori) e la velocità del cambiamento prodotto. Solo il 10,3% guarda invece all’IA come ad una delle tante innovazioni avvenute negli anni più recenti, che necessiterà, come già avvenuto per altre, di tempi fisiologici di adattamento.

Tra le applicazioni possibili dell’IA a livello aziendale, vi è il supporto ai processi decisionali nell’organizzazione e gestione delle risorse umane. Si tratta di una dimensione destinata, secondo gli esperti, a svilupparsi sensibilmente nei prossimi anni: il 43,6% reputa, infatti, che entro il 2030 ci sarà una forte crescita di tali sistemi, il 32,5% una crescita fortissima. Solo 21,4% parla di una crescita media, mentre il 2,6% non crede nello sviluppo di tali applicazioni.