Roma, 6 novembre 2024 – Il sistema previdenziale si fonda su un equilibrio semplice: chi lavora contribuisce per sostenere chi è in pensione.
Intelligenza artificiale e contributi
Ma cosa succede quando, al posto di un lavoratore in carne e ossa, c’è una macchina? A dare una risposta, lanciando una proposta provocatoria è la direttrice generale dell’Inps Valeria Vittimberga. Dal palco del convegno dell’Inps dedicato alle politiche del lavoro, Vittimberga propone di tassare gli extra profitti delle aziende che sostituiscono le attività tipicamente ‘labour intensive’ con tecnologie avanzate, contribuendo a sostenere il sistema previdenziale.
"Oltre alla necessità di pensare alla riqualificazione di quel tipo di lavoro che verrà soppiantato" dall'intelligenza artificiale, "lancio una provocazione: perché non far pagare i contributi dagli extraprofitti delle grandi aziende che sostituiscono le attività tipicamente 'labour intensive' con strumenti tecnologici di intelligenza artificiale?”, afferma. “Sarebbero macchine che lavorano per noi in continuazione, sostenibili da un punto di vista previdenziale,” spiega Vittimizzare, evidenziando un concetto che va oltre la semplice tassazione: il riconoscimento di una nuova forma di lavoro generato dalle macchine, a beneficio della società.
Un nuovo modello previdenziale
L’idea lanciata da Vittimberga apre a un modello innovativo di finanziamento del welfare, volto a ridurre l'impatto sociale dell'automazione. La logica è quella di bilanciare i profitti che le aziende traggono dall’adozione della tecnologia con il sostegno alle fasce di lavoratori più vulnerabili, quelli impiegati in settori dove la sostituzione è già tangibile. “Dobbiamo guardare all’intelligenza artificiale non con allarmismo, ma con una sana preoccupazione”, sottolinea Vittimberga, sollecitando un intervento tempestivo per evitare che i cambiamenti tecnologici creino un divario sociale irrecuperabile.
Minaccia e opportunità
Anche per il presidente dell’Inps Gabriele Fava l’AI “non è destinata a sostituire le persone, ma a potenziarne le capacità”, afferma nella relazione relativa al rapporto annuale dell’istituto, evidenziando come si tratti di uno strumento “teso a migliorarne le competenze al fine di fornire servizi sempre più competitivi e contestualizzati”. Del resto quando alla metà degli anni Novanta si è diffusa la video scrittura con il computer si pensava che avrebbe sostituito l’uomo e così non è stato, generando invece una nuova economia. Lo stesso è accaduto con l’avvento degli smartphone. Secondo una recente ricerca del World Economic Forum l’intelligenza artificiale, nei prossimi anni, potrebbe sostituire circa 85 milioni di posti di lavoro nel mondo, ma creandone, al contempo, 97 milioni di nuovi.
La sfida della tecnologia per una PA più digitale
È lo stesso Inps a guardare all’intelligenza artificiale e introdurre nuovi strumenti digitali, con l’obiettivo di modernizzare i propri servizi. Negli ultimi 12 mesi, oltre 2 milioni di cittadini hanno utilizzato il ‘Consulente digitale delle pensioni’, un servizio sviluppato nell’ambito del Pnrr che consente ai pensionati di verificare facilmente l’accesso a prestazioni integrative in base alla loro situazione.
Questo strumento rappresenta un ulteriore passo dell’Inps verso l’adozione della tecnologia per semplificare i servizi al cittadino. Tuttavia l'intelligenza artificiale non è pensata per sostituire gli operatori umani, ma per affiancarli, migliorando l’efficienza e riducendo i tempi di attesa. Sistemi come MyInps, ad esempio, supportano gli utenti nella ricerca delle informazioni e adattano i servizi in base ai loro profili, mentre altri strumenti di IA gestiscono internamente milioni di Pec, indirizzandole automaticamente agli uffici competenti.
Sebbene queste innovazioni mirino a rendere più fluido e accessibile il sistema, permangono dubbi su quanto possano realmente alleggerire le difficoltà di accesso ai servizi dell’istituto, specialmente per gli utenti meno digitalizzati. In generale l’Italia è in ritardo rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea per quanto riguarda le competenze digitali. Solo il 15,5% delle imprese italiane ha offerto formazione in ambito ICT ai propri dipendenti, contro una media Ue di quasi il 20 per cento. Sul fronte dell’istruzione, la quota di laureati in discipline ICT sul totale dei laureati è solo dell’1,4%, rispetto a una media europea del 4%, posizionando l’Italia all’ultimo posto in Europa per laureati in ambito tecnologico.