NEL 2020, con l’emergere della pandemia di Covid, per non bloccare il lavoro delle aziende e della pubblica amministrazione, il governo emanò i decreti attuativi per rendere immediata la possibilità di attivare modalità di lavoro agile, senza passare per le trafile burocratiche della vecchia normativa. Allo stesso tempo, milioni di studenti si sono ritrovati a seguire le lezioni da casa in modalità virtuale. Un’accelerazione così potente che ci ha fatto ritrovare improvvisamente in un mondo nuovo, mai vissuto prima. Parcheggi aziendali con poche macchine, uffici semivuoti, eppure, come per miracolo, le organizzazioni hanno continuato a funzionare, a vendere, fatturare, fornire servizi. Ma dove sono finite le persone che fino a ieri si ritrovavano alla macchinetta del caffè, affollavano la mensa, occupavano tutte le scrivanie? Le ritroviamo ognuna nella propria abitazione, qualcuna nella sua casa di vacanza, con il proprio computer e telefono, a lavorare sulle stesse cose di prima, ma un po’ spaesate per questa improvvisa mutazione, di cui si era sentito parlare tante volte, qualche volta sognato, ma mai sperimentato.
La possibilità di lavorare in nuove modalità, più flessibili e agili, era già presente da anni, ma la forza dell’abitudine, la diffidenza alle nuove tecnologie da parte del mondo del lavoro, complessità burocratiche, ne avevano finora rallentato la sperimentazione. La rivoluzione tecnologica ha fatto sì che buona parte dei lavoratori delle aziende siano ormai “lavoratori della conoscenza”, non legati ai vincoli della produzione industriale. Questi vincoli permangono invece per i “blue collar” che sono legati alla presenza nel luogo di lavoro, anche se si stanno evolvendo nella nuova figura del “blue tech collar” quando operano in contesti tecnologicamente evoluti. Il “lavoratore della conoscenza”, può quindi operare indifferentemente in modalità tradizionale o in modalità agile, senza i vincoli di spazio e di tempo tipici del lavoro tradizionale. Finora il dibattito sul lavoro agile si è concentrato sul disciplinamento giuridico delle nuove modalità di lavoro e su vantaggi come quelli determinati da una migliore conciliazione vita-lavoro, dalla flessibilità oraria e dall’abbattimento dei costi individuali e sociali dei trasporti. Tuttavia, quando il fenomeno, da esperienza minoritaria, diventa di massa si aprono tematiche inesplorate nella storia delle organizzazioni e nella concezione stessa del lavoro.
Uno straordinario piano di formazione delle nuove competenze dello smart worker è necessario per tutte le organizzazione e viene ormai gestito in digital learning, con webinar, e-learning, app di apprendimento. I programmi più innovativi prevedono, ad esempio, corsi online sulla gestione delle emozioni che entrano in gioco nei grandi cambiamenti personali e organizzativi, come paura, incertezza, resilienza e proattività, corsi sulla sicurezza del posto di lavoro da organizzare a casa e, soprattutto, corsi sulle nuove modalità di comunicare e relazionarsi nell’ecosistema aziendale attraverso le strumentazioni digitali. Strettamente legato a queste tematiche, nelle agende e nei programmi formativi delle aziende più evolute, si sta imponendo il tema Esg (Environmental, Social and corporate Governance), con tutti i temi dell’ambiente, delle tematiche sociali e generazionali. Il futuro che ci si presenta vede allora un forte legame tra nuove forme di lavoro, nuove forme di apprendimento e tematiche sociali.
* Presidente di Skilla