LAVORARE quattro giorni alla settimana e dedicare gli altri tre alle proprie passioni e alla famiglia non è più una chimera. Soprattutto perché oltre ai diretti interessati, i lavoratori dipendenti, comincia a esserne convinta la controparte, ovvero i direttori del personale. E con percentuali sorprendentemente alte. Lo rivela un’indagine di Aidp – l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale – secondo cui il 93% dei professionisti delle risorse umane è in tutto o in parte favorevole al passaggio dai canonici cinque giorni lavorativi a quattro, mentre solo il 6% si dichiara decisamente contrario. Residuale (circa l’1%) la quota di coloro che non hanno un’idea precisa in merito. Nel dettaglio, il 53% si dichiara d’accordo sull’introduzione della settimana corta, mentre il restante 40% lo è solo parzialmente. Tra le principali ragioni di coloro che sono favorevoli, il 79% indica la possibilità di migliorare la conciliazione vita-lavoro, il benessere psicofisico dei dipendenti (46%) e la motivazione al lavoro dei dipendenti (27%).
Tra coloro che non sono d’accordo, per il 50% la misura non è compatibile con la situazione economica e produttiva delle nostre imprese, per il 37% vi è una difficoltà di implementazione organizzativa e per il 20% implicherebbe 9-10 ore di impegno giornaliero. Tra coloro che hanno espresso una parziale adesione (il 40%), si sottolinea soprattutto la necessità di definire (come per lo smart working) una misura della produttività basata sulle performance, con linee guida definite dalla contrattazione nazionale (per il 41%), oltre la valutazione preliminare della sostenibilità economica (34%) e difficoltà a livello di implementazione organizzativa (25%).
Il dibattito sulla settimana corta è di stretta attualità, non solo in Italia, e ruota intorno ai due temi fondamentali presi in considerazioni dalla survey di Aidp, ovvero quali sarebbero gli impatti sull’organizzazione del lavoro e quali le conseguenze dal punto di vista retributivo. In sintesi, si tratta di una soluzione praticabile per gran parte del mondo del lavoro oppure è una possibilità confinata a poche realtà produttive e a una dimensione prevalentemente sperimentale? Per implementare la settimana corta nella propria azienda il 62% dei direttori del personale partirebbe con soluzioni sperimentali, attraverso una contrattazione a livello aziendale (33%) e riportando la questione anche a livello di contrattazione nazionale (24%). Il 26% ritiene possibile mantenere lo stesso salario ma riducendo i giorni, mentre l’8% propende per una riduzione parziale dello stipendio in proporzione alle ore lavorate. Il 20%, infine, è favorevole a mantenere lo stesso numero di ore contrattuali ma riducendo i giorni.
"Seppur culturalmente siamo favorevoli alla settimana corta – commenta Matilde Marandola (nella foto), presidente nazionale di Aidp – è sempre importante comprendere e ascoltare le situazioni delle singole aziende e delle singole persone. Una decisione standard e uguale per tutti, infatti, potrebbe avere ricadute negative sulla motivazione, sulla retention e sull’economia. Per queste ragioni la via della sperimentazione è quella maestra per verificare e testare la reale e virtuosa fattibilità dell’introduzione a regime della settimana corta. Soluzione alla quale guardiamo con equilibrio e interesse, visto il grande impatto sociale ed economico che avrebbe".