LE AZIENDE italiane bluffano sul benessere dei propri dipendenti. Nonostante sia una priorità dichiarata dal 56% di esse, solo il 22% mette in atto misure reali per supportarlo. Così il concetto di work-life balance, che negli ultimi anni è diventato un pilastro delle strategie aziendali, si trasforma nel libro delle promesse non mantenute e determina una preoccupante perdita di fiducia dei dipendenti. Lo rileva il recente rapporto “Global Human Capital Trends”, realizzato da Deloitte, secondo cui il work-life balance washing, ovvero la pratica di promuovere finte politiche di equilibrio vita-lavoro, è più comune del previsto tra le nostre imprese.
Ma quanto è grande il divario tra ciò che le aziende offrono e ciò che realmente cercano i lavoratori oggi? In molti annunci di lavoro vengono promossi programmi di benessere, flessibilità e iniziative per ridurre lo stress, con l’obiettivo di attrarre e trattenere persone. Tuttavia la realtà dietro queste promesse è spesso diversa e, nella pratica, i dipendenti si trovano a gestire un sovraccarico di lavoro e pressioni crescenti. Questo fenomeno rappresenta una discrepanza tra ciò che viene promesso e ciò che viene realmente offerto.
Secondo lo “State of the Global Workplace” realizzato da Gallup, solo il 20% dei lavoratori a livello globale si sente coinvolto sul posto di lavoro, mentre il 45% dichiara di essere troppo stressato. Tra le principali cause, spicca la mancanza di un autentico equilibrio tra vita personale e professionale. Tutto ciò, unito alle promesse aziendali non mantenute e all’assenza di flessibilità reale, portano a uno stato di stress cronico e disconnessione emotiva dal proprio lavoro.
In un contesto in cui il 45% dei lavoratori globali si sente sopraffatto dallo stress, alcuni esperti come il professionista del digital Luigi Nigro (nella foto), sostengono che affrontare il problema richieda un cambiamento di paradigma. È qui che entrano in gioco strategie come la gestione consapevole del tempo e la costruzione di una condizione di stabilità finanziaria per una maggiore autonomia personale. Molti lavoratori, infatti, rimangono incastrati in aziende che non rispettano il work-life balance semplicemente perché non possono permettersi di lasciare il lavoro. E proprio la condizione di non-ricattabilità finanziaria permette di scegliere come utilizzare il nostro tempo.
"Quando si è iniziato a parlare qualche anno fa di Great Resignation, il fenomeno che ha visto milioni di lavoratori nel mondo abbandonare il proprio impiego, si pensava fosse solo una questione di burnout o desiderio di cambiare carriera – spiega Nigro – Oggi ci sono segnali chiari che ciò abbia invece rappresentato una risposta collettiva a una cultura lavorativa che maschera pratiche disfunzionali dietro iniziative di benessere aziendale che, nella maggior parte dei casi, restano solo sulla carta. Non ha più senso nascondersi dietro slogan e belle parole a cui non seguono fatti reali, perché i lavoratori sono informati, parlano tra di loro e denunciano episodi negativi sui social. Fare work-life balance washing, quindi, può trasformarsi in un clamoroso autogol per le aziende".