Di sicurezza sul posto di lavoro si è sempre parlato, riferendosi, principalmente, all’eventualità di incidenti, ma raramente ci si interroga sulla percezione interiore dell’ambiente professionale o del carico lavorativo dei propri dipendenti. Eppure, i dati a riguardo tracciano un quadro tutt’altro che sereno: l’Italia è il paese con i lavoratori più tristi d’Europa. È quanto emerge dall’ultimo report Gallup sullo “Stato globale del mondo del lavoro”, che fotografa una triste realtà che sa di fallimento.
Italiani: i più tristi d’Europa sul lavoro
A colpire è che l’Europa sia in fondo alla classifica della soddisfazione: solo il 14% dei lavoratori si dichiara “coinvolto” nel lavoro” contro il 33% di Usa e Canada – e l’Italia è fanalino di coda con un misero 4% di “coinvolti”, a fronte del 16% della Germania e le percentuali molto più alte dell’Europa dell’Est (33% in Romania, 23% in Albania, 21% in Ungheria). Se la quota di coloro che il giorno prima si sono sentiti preoccupati si ferma al 45%, i “molto stressati” sono il 49% a fronte di una media Ue del 37%. E se il 16% riferisce anche di aver provato “molta rabbia”, ad ammettere “molta tristezza” è ben il 27%, otto punti sopra la media dell’area. Più tristi dei lavoratori italiani sono solo quelli della Repubblica di Cipro.
L’ambiente di lavoro negativo: i 6 campanelli di allarme
Un ambiente di lavoro nocivo trascina il proprio dipendente in un vortice di negatività in grado di prosciugargli qualsiasi energia, compromettendo la sua salute mentale e la qualità complessiva del lavoro. Secondo EU-OSHA, sono sei i campanelli d'allarme che possono far presagire un clima lavorativo poco ottimale: carichi di lavoro eccessivi, richieste contrastanti e mancanza di chiarezza sui ruoli, scarso coinvolgimento nei processi decisionali e nei metodi di lavoro, gestione inadeguata dei cambiamenti organizzativi, comunicazione inefficace, mancanza di sostegno da parte dei colleghi o dei superiori e atteggiamenti ambigui o molesti.
Il lavoro difensivo
Lo psicologo e career coach Riccardo Germani, conosciuto su Instagram come Ilmiopsicologodiceche, ha delineato sulla pagina Dealogando una tipologia di approccio al lavoro chiamato “lavoro difensivo”. Ci si riferisce a un meccanismo di “riparo” da eventuali rischi o danni reputazionali, che sta prendendo sempre più piede a livello trasversale in tutti gli ambienti professionali, ma che segnala, seppur in maniera non manifesta, un malessere psicosociale.
“Quando un medico vuole evitare di incorrere in denunce da parte dei pazienti, una pratica comune è quella di prescrivere più esami del necessario, in modo da proteggersi da eventuali rivalse nei suoi confronti - spiega lo psicologo - Questa prassi è conosciuta come "medicina difensiva" ed è un problema in termini di costi, sia per la persona che per il sistema sanitario”. Ma si tratta anche di un’opera di prevenzione, volta a placare le possibili inesattezze del dottore, che comporterebbero danni reputazionali o la frustrazione dei pazienti e dei famigliari. Secondo Germani, questo stesso meccanismo lo si può estendere anche nelle dinamiche aziendali. In particolare, sono tre le azioni tipiche che segnalano il lavoro difensivo, come mettere per iscritto ogni singola decisione, mettere sempre in copia i propri responsabili su ogni email o compito svolto e rendere burocratici processi e passaggi altrimenti fluidi e più naturali.
Lo psicologo spiega poi i motivi per cui una persona potrebbe assumere un atteggiamento difensivo. Questo avviene, ad esempio, quando in passato i soggetti che si difendono sono stati incolpati di alcune problematiche aziendali e le loro soluzioni proposte non sono mai state ascoltate. Si ricerca il riparo nella difesa anche quando si pensa di aver sempre svolto bene il proprio lavoro, ma a un tratto vengono imputate mancanze in qualcosa su cui il soggetto non aveva ownership o responsabilità. Infine, se il management è eccessivamente volubile e cambia continuamente gli obiettivi da raggiungere.
“Se il lavoro difensivo diventa una modalità diffusa all'interno di un'azienda o di un team di lavoro, potrebbe essere il segnale di scarsa fiducia reciproca o di poca chiarezza a livello di obiettivi, ruoli,responsabilità e flussi di lavoro”, spiega Germani. “La soluzione è, come sempre, ascoltare, parlare, chiarire e mettere le persone nelle condizioni di lavorare in modo libero e sicuro. Questo è il miglior punto di partenza”.