Sabato 21 Dicembre 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Lavoro, l’Italia poco attrattiva. Le politiche inefficienti sono il tallone d’Achille

E’ quanto emerge dall’indagine condotta da Ey insieme a Swg su un campione di oltre 500 manager e imprenditori italiani

Lavoro, l'Italia poco attrattiva (foto generica, Ansa)

Roma, 13 febbraio 2024 – Il mercato del lavoro in Italia resta largamente poco attrattivo e con criticità non risolte in termini di mismatch, politiche attive, conciliazione, orientamento e formazione. Più nel complesso, il mondo del lavoro italiano è promosso per la qualità delle proprie produzioni, ma non ottiene la sufficienza sotto il profilo della capacità di innovazione, produttività del lavoro e competitività internazionale. Sono questi i principali esiti di un’indagine campionaria su “Lavoro e attrattività, a che punto siamo in Italia?” realizzata da EY, insieme a Swg, su un campione di più di 500 manager e imprenditori italiani. La sintesi dei risultati mette in evidenza come una nuova riforma del lavoro sia prioritaria per rendere l’Italia più attrattiva. Solo un intervistato su quattro ritiene adeguato l’attuale assetto legislativo in materia di politiche del lavoro. Il 74% concorda che politiche del lavoro inefficienti penalizzino l'attrattività del Paese. Tra le priorità: riduzione del cuneo fiscale, incremento dell'offerta formativa professionalizzante, semplificazione delle procedure amministrative per la gestione del personale e politiche per la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Dunque, sebbene i più recenti dati dell’Istat sull’andamento dell’occupazione in Italia registrino un aumento dell'occupazione, quasi la metà degli intervistati ha espresso dubbi sulla sostenibilità del sistema nel medio-lungo termine. In particolare, il 76% ritiene che, piuttosto che alla quantità degli occupati, è necessario fare riferimento alla qualità del lavoro per progettare politiche del lavoro efficaci e il 70% dichiara che l’aumento dell'occupazione è legato soprattutto a posizioni poco qualificate e nasconde le grosse difficoltà che le aziende hanno a individuare personale qualificato. Un tema quest’ultimo particolarmente spinoso, stando alla fotografia scattata da EY e SWG: tre aziende su quattro cercano o hanno cercato personale nell’ultimo anno e, nel complesso, il 62% ha riscontrato difficoltà legate in primo luogo (59%) alla mancanza di candidati adeguatamente qualificati. Circa il 70% del campione ritiene che oggi sia molto difficile reperire personale con qualifiche e competenze coerenti con le esigenze aziendali. “Da troppo tempo il tema del lavoro non è al centro del dibattito, mentre è assolutamente centrale – spiega Stefania Radoccia, managing partner dello studio legale e tributario di EY - Si tratta di un tema fondamentale per incidere sull’attrattività del Paese e delle aziende italiane. In questo momento, per di più, il livello di fiducia non è altissimo: circa la metà degli intervistati non è sicuro che si potranno realizzare tutti gli interventi necessari. È quindi fondamentale muoversi rapidamente e in modo efficace e immettere fiducia nel sistema, attraverso una riforma organica, una vera e propria politica industriale del lavoro, per incidere in maniera concreta ed efficace sull’attrattività del Paese”. I manager e gli imprenditori intervistati individuano, come accennato, quattro priorità chiave: l’82% ritiene utili implementare misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro per le famiglie; l’81% caldeggia una riduzione strutturale del costo del lavoro (abbattimento del cuneo fiscale), un incremento dell'offerta formativa professionalizzante (81%) e la semplificazione delle procedure amministrative per la gestione del personale da parte delle aziende (81%). Guardando in prospettiva, l’82% del campione è d’accordo nel ritenere che il lavoro del futuro sarà più automatizzato e l’81% che richiederà profili professionali sempre più specializzati. “La trasformazione tecnologica iper-accelerata avrà un impatto notevole sulle dinamiche lavorative a livello nazionale e globale – incalza Radoccia – E’ fondamentale che la formazione, intesa anche come upskilling e reskilling, si parli con la politica industriale del Paese. Soltanto attraverso l'incrocio di queste due variabili saremo in grado di incidere concretamente su salari, produttività e innovazione. E in questo è cruciale il ruolo del governo: il 52% degli intervistati si aspetta che il governo assuma un ruolo di guida e da protagonista, fiancheggiato dalle aziende (32%) in una logica di sistema”.