Nella notte della campagna bolognese a Sant’Agata il quartier generale della Lamborghini automobili spezza il buio con un’esplosione di luce candida che sale verso il cielo. È il colpo d’occhio scenografico di un’azienda che oggi, come la Ferrari, rappresenta nel mondo la Motor valley dell’Emilia- Romagna con numeri da record e auto da sogno (fatturato 720 milioni con un +22,8%). Ora appartiene al gruppo Volkswagen-Audi, ma fu fondata 60 anni fa da Ferruccio Elio Arturo Lamborghini, classe 1916 (scomparso nel 1993), un imprenditore capace e visionario, amante della bella vita, un Gianni Agnelli con tratti padani. Il figlio, Tonino Lamborghini, anch’egli imprenditore e console onorario del Montenegro, è il testimone dell’epopea di famiglia e custode della memoria.
Lei ha visto nascere l’impero di famiglia?
“Io sono venuto alla luce nel 1947, un anno prima della fondazione della fabbrica di trattori. Fin da bambino ho assistito all’evoluzione dell’azienda e alla nascita della fabbrica di automobili".
Cosa fa oggi Tonino Lamborghini?
"La mia famiglia è uscita dall’azienda automobilistica da molti anni. Personalmente, sempre con il marchio Lamborghini, mi occupo dal 1981 di una linea di lifestyle che produce prodotti di lusso come orologi, occhiali, pelletteria, cellulari, arredo accessori sportivi, hotel a 5 stelle e ristoranti".
Le auto sono rimaste nel Dna di famiglia?
"Beh, certo, come i trattori. Prima delle Gran turismo, mio padre Ferruccio fece fortuna con le macchine agricole. Tutti i modelli prodotti dalla Lamborghini auto di nostra proprietà sono esposti nel nostro museo privato (ma visitabile, ndr) di Argelato inaugurato nel 2014. Ogni anno passano di qui 10mila visitatori".
Come nacque il museo?
"Fu una mia idea. Quando ne parlai con mio padre rimase perplesso, anche perché i primi due pezzi che gli mostrai erano due trattori Lamborghini arrugginiti, trovati presso un agricoltore".
Poi la incoraggiò?
"Fece un sospiro e disse: quando feci questi trattori avevo la tua età e le tasche vuote. Vai avanti".
La Lamborghini che lei ha cucito nel cuore?
"La Miura, senza dubbio. Ha rappresentato un’epoca. A Ferruccio il nome piacque perché aveva scelto come simbolo delle vetture un toro in antagonismo con il cavallino rampante della Ferrari. Serviva un nome evocativo, Miura sono i tori più cattivi al mondo".
La vollero schiere di Vip.
"I clienti pagavano in anticipo pur di averla. L’acquistarono fra gli altri lo scià di Persia, l’attore Dean Martin, in Italia Little Tony. Pure Frank Sinatra, ma con lui fu un’avventura".
In che senso?
"Frank pretese una Miura personalizzata con l’interno di leopardo. Mio padre gli spiegò che non era possibile. Sinatra rispose: ci penso io. Spedì a Sant’Agata un carico gigantesco di pelli, ma per l’auto ne servì una piccola percentuale".
Il resto rispedito in America?
"Ferruccio glielo propose correttamente. L’altro disse le tenga lei. E mio padre cominciò a regalare pellicce di leopardo alle sue amiche di Bologna".
Ferruccio come passò dai trattori alle auto?
"Le Gran turismo erano la sua passione. Ma tutto partì da una discussione con Enzo Ferrari. All’inizio degli anni Sessanta dopo una Maserati 3500 GT bianca comprò prima una Ferrari 250 coupé poi una “50 Gt 2+2. Ebbero problemi con la frizione, a Maranello non risolsero il problema e Ferruccio constatò che la frizione dei suoi trattori montata sulle auto del Cavallino reggeva meglio agli strappi".
Un affronto al Drake.
"Ci fu un confronto fra i due. Ferrari gli urlò in faccia, guida i tuoi trattori non meriti le mie automobili. Fine dell’amicizia, non si parlarono mai più".
Da lì decise di costruire in proprio le Gran turismo?
"Era il 1963, ingaggiò i migliori tecnici, progettisti e designer dell’epoca come Giotto Bizzarrini, Gian Paolo Dallara, Paolo Stanzani, Franco Scaglione. E così cominciò l’avventura. Il primo esemplare fu la 350GTV".
Celebri le battute in dialetto.
"Lo scrivo nel mio libro ‘Ferruccio Lamborghini, la sfida, l’avventura, la Miura’. Un giorno va a Milano alla Pirelli con l’ingegner Stanzani per una fornitura di pneumatici. Si presenta in maniche di camicia al cda presieduto da Leopoldo Pirelli e saluta così: Avì fat un bel lavurir, avete fatto un buon lavoro. Si riferiva al grattacielo Pirelli appena inaugurato".
Come nasce il film sulla sua famiglia?
"Hanno preso spunto dai libri che ho scritto io sulla nascita del marchio. Si chiama Lamborghini – The Man Behind The Legend".
La sua prima auto?
"Mi feci le ossa da minorenne a 7, 8 anni su una Fiat 500, poi a 18 anni mi regalarono una Giulietta usata. Mi piaceva commerciare auto e la rivendetti. Ma poi ho ricomprato lo stesso modello che adesso è esposto al museo".
È vero che suo papà le regalava un’auto dietro l’altra?
"In un certo senso sì. A scuola fui bocciato ma lui mi regalò lo stesso una vettura. Una volta mi consegnò una Miura arancione e mi consiglioò di farla provare a tutti i miei amici. Ferruccio diceva: non è il collaudatore che trova i difetti, ma il privato".
Provò dispiacere quando suo papà negli anni settanta vendette l’azienda?
"Andammo insieme all’appuntamento verso Ferrara per cedere il pacchetto azionario. Io ero triste e non parlavo, lui fischiettava. Non ti preoccupare, mi disse, al mondo tutto si compra e tutto si vende".