L’Italia sarà anche nel G7, ma di certo non in quello della tutela della proprietà intellettuale: il Bel Paese, all’interno di una ideale classifica mondiale, si colloca infatti soltanto in 46esima posizione, dietro a Bahrein e Giordana. Lo rivela l’ultimo report della Property Rights Alliance, uno studio che misura come viene tutelata la proprietà intellettuale in oltre 129 Paesi, rappresentanti il 98 per cento del Pil mondiale e il 93 per cento della popolazione. «I diritti di proprietà sono un indicatore chiave del successo economico e della stabilità politica, e una componente fondamentale dell’innovazione», spiega Pietro Paganini (nella foto tonda), presidente di Competere.eu, think tank che aderisce alla Property Rights Alliance e docente alla John Cabot University.
Come mai l’Italia è messa così male?
«L’Italia porta a casa un punteggio finale di 6.1 su 10. Siamo ben distanti dagli altri Paesi del G7 (7.9 punti di media) e di gran lunga staccati da Paesi quali la Finlandia (8.7), la Svizzera (8.5), la Nuova Zelanda (8.5), Singapore (8.4) e l’Australia (8.3) che occupano le prime cinque posizioni. L’Italia è insufficiente nella stabilità politica e nel garantire efficienza ed efficacia della giustizia civile (punteggio 5.4). Scarsi i risultati anche nella tutela della proprietà fisica (punteggio 6.1). Riesce a strappare la sufficienza (circa 6.78) nella tutela della proprietà intellettuale, grazie anche alle agevolazioni derivanti dal cosiddetto patent box».
Perché la tutela della proprietà intellettuale è importante?
«L’indice dimostra che esiste una correlazione positiva tra innovazione e tutela della proprietà. Non è un caso che i Paesi al vertice della classifica (Scandinavi, Singapore, Svizzera, Usa) siano anche Paesi tecnologicamente avanzati ed economie basate su alti tassi di innovazione».
Quali sono i costi di questa mancanza di tutela?
«Quando si parla di proprietà intellettuale si parla anche di contraffazione. Un’attività illecita che colpisce le imprese italiane per 24 miliardi di euro, in base ai dati Ocse».
Dove siamo più vulnerabili?
«La versione 2019 dell’International Property Rights Index contiene anche un caso studio realizzato da Competere sulle problematiche che l’ingresso dell’Italia nella Belt and Road Initiatives cinese comporta in termini di tutela del know-how e del prodotto. La nostra analisi suggerisce che l’apertura di una nuova Via della Seta potrebbe aggravare questo fenomeno, facendo dell’Italia un punto di transito verso l’Europa per nuove merci contraffatte e danneggiando le imprese nostrane».
Ci sono già dei buchi evidenti nel sistema?
«Nel Memorandum firmato dal precedente governo Conte l’aspetto della proprietà intellettuale è stato affrontato in modo superficiale e potrebbe essere un grave errore. Basti pensare che dalla Cina e dall’hub internazionale di Hong Kong provengono rispettivamente il 37% e il 30% dei prodotti contraffatti, che finiscono per circolare in Italia e in Europa. Il nuovo rapporto con il Dragone ha già creato tensione con gli alleati occidentali e con la stessa Unione Europea. Le incognite sono molteplici e il caso della proprietà intellettuale è emblematico».
Non ci saranno solo aspetti negativi dai rapporti privilegiati con la Cina...
«Non c’è dubbio che un rafforzamento delle relazioni commerciali con la Cina, anche attraverso nuove infrastrutture, possa essere una grande opportunità. Tuttavia, prima di proseguire con l’accordo, è necessario stabilire con il partner asiatico degli standard di tutela della proprietà solidi e concordare attività efficaci di prevenzione e contrasto alla contraffazione, per evitare nuove minacce al Made in Italy e alle nostre aziende».
Anche il governo cinese si sta muovendo a favore della difesa dei diritti di proprientà intellettuale.
«La Cina, che vuole il primato mondiale dell’innovazione entro il 2050, ha avviato un piano ambizioso quanto irrealistico per eliminare entro il 2020 la contraffazione (400 miliardi annui di valore stimato), al fine di ottenere lo status di economia di mercato ed avere accesso ai club internazionali che contano. Per la legge del contrappasso, i cinesi temono che i loro prodotti ad alto valore tecnologico ed intellettuale possano essere copiati e replicati da altri. Se Pechino, almeno nei proclami, si sta muovendo nella giusta direzione, troppe regioni restano ostili alla difesa della proprietà, con conseguenze, non solo economiche, devastanti per chi fa innovazione, ma anche con danni sociali rilevanti».
Elena Comelli