Mercoledì 20 Novembre 2024
VITTORIO BELLAGAMBA
Economia

L’Italian Sounding genera un impatto economico negativo per le aziende agroalimentari

Le imitazioni di prodotti made in Italy valgono quanto l’export nazionale. Ma Cina, Giappone e Canada ricercano sempre di più il prodotto autentico italiano

Il parmigiano reggiano è tra le specialità del made in Italy più copiate all'estero

Il parmigiano reggiano è tra le specialità del made in Italy più copiate all'estero

Bormio, (Sondrio), 8 Giugno 2024 – I “danni” causati dall’Italian Sounding nel settore agroalimentare sono pari a 63 miliardi di euro. Il fenomeno è relativo a quei prodotti che si spacciano per italiani ma nulla hanno a che fare con quelli del Made in Italy. Il dato molto preoccupante è emerso nella ricerca di The European House - Ambrosetti, realizzata in occasione dell’’8° forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio.  

Le conseguenze dell’Italian Sounding nelle regioni

La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’Italian Sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). L’imitazione all’estero di prodotti del territorio ha precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l'imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’Italian Sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023. “Le regioni più colpite dal fenomeno - spiega Valerio De Molli - Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti - sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di Italian Sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)”.

“La tutela del Made in Italy – continua De Molli - è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’Italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”. L'Italian Sounding – ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner TEHA - è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%”.  

I prodotti più imitati

Ragù (61,4% Italian Sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% Italian Sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% Italian Sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).  

All’estero cresce comunque la voglia per il Made in Italy originale

Mediamente sette consumatori su dieci in Giappone e Canada cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da TEHA, anche in Germania il 72% dei consumatori per a desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.  

Lo stato di salute della filiera agroalimentare italiana

La filiera agroalimentare italiana si conferma un asset strategico per la competitività del Paese e in crescita rispetto al 2015. Il fatturato complessivo è pai a 251,1 miliardi di euro, il valore aggiunto è pari a 66,6 miliari mentre gli investimenti sono stati pari a 18,3 miliardi. Sono 3,3 milioni gli occupati e la quota dell’export ha raggiunto i 62,2 miliardi. La filiera agroalimentare è prima in Italia per valore aggiunto generato tra i principali settori manifatturieri.