Roma, 12 febbraio 2025 – Controllare l’Intelligenza Artificiale (AI) per governare la circolazione dei dati, conquistare il mercato dei servizi digitali, determinare le politiche globali e plasmare le società del futuro. Gli investimenti in AI non hanno solo finalità economiche e commerciali ma incrociano le mire espansionistiche degli Stati e incidono sugli equilibri geopolitici internazionali.
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Non si può leggere altrimenti la decisione di Stati Uniti e Gran Bretagna di non firmare ieri il documento finale del summit mondiale sull’Intelligenza artificiale di Parigi, focalizzato sulla necessità di trovare un equilibrio tra regolazione e innovazione tecnologica attraverso una governance condivisa dell’AI. Né gli americani né gli inglesi hanno sottoscritto la dichiarazione conclusiva per un’AI "aperta, inclusiva ed etica", condivisa da 61 Paesi, convinti della necessità di un dialogo globale su una normativa sovranazionale che contrasti le concentrazioni di mercato e democratizzi su base planetaria l’accesso alle tecnologie. La svolta trumpiana della politica statunitense evidentemente allontana la prospettiva di una convergenza con l’Europa sul terreno dell’innovazione e svela un disegno egemonico dall’impronta colonizzatrice mirante a dominare lo scenario mondiale anche grazie all’Intelligenza artificiale.
Eppure per l’Europa le assise parigine sembravano quelle dell’orgoglioso rilancio, grazie all’annuncio di Ursula von der Leyen di uno stanziamento di 200 miliardi di euro per alimentare lo sviluppo tecnologico del continente. Questo piano, parte del programma InvestAI, vuol essere proprio una risposta concreta alle sfide globali degli Usa e della Cina per il controllo e lo sviluppo dell’AI.
Le dichiarazioni della presidente della Commissione europea arrivano a pochi giorni di distanza da uno scambio acceso tra Elon Musk e Sam Altman, rispettivamente proprietario di X (ex Twitter) e fondatore di OpenAI. Musk, con una mossa clamorosa, ha proposto di acquistare OpenAI per ben 97,5 miliardi di dollari, una cifra che ha suscitato reazioni piccate da parte di Altman, il quale ha risposto con sarcasmo e sfida, affermando che sarebbe stato lui a poter comprare X per 9,7 miliardi. Sarebbe riduttivo derubricare lo scontro tra Musk e Altman a semplice rivalità tra imprenditori tecnologici. In realtà esso nasconde una battaglia senza esclusione di colpi per l’influenza globale sugli algoritmi di AI e, di conseguenza, sul futuro digitale del nostro mondo.
Se Musk riuscisse a dominare il panorama dell’AI globale, i suoi algoritmi potrebbero determinare la forma dei nostri pensieri, delle nostre opinioni e, più in generale, dei nostri comportamenti, contribuendo a plasmare sul piano educativo le nuove generazioni. Una forma di dominio simile andrebbe ben oltre il controllo dei dati e influenzerebbe la cultura e le società nel loro complesso. In questo senso, la preoccupazione di molti osservatori è che potremmo trovarci di fronte a un "governo sovranista globale" dettato non da entità statuali di matrice democratica, ma da soggetti privati come Musk, privi di investitura popolare e di rappresentatività ed espressione di élite autoreferenziali.
*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano