Un semestre di recessione. È quanto ci aspetta secondo Confartigianato tra questo trimestre e il prossimo. Con l’aumento dei tassi di interesse deciso il 15 dicembre dalla Bce, che ha portato quello principale al 2,5%, in rialzo di 250 punti rispetto a luglio, e una manovra improntata alla prudenza, diretta principalmente a ridurre il debito pubblico, o a contenerne l’incremento, l’economia italiana, soprattutto nei prossimi mesi, si troverà priva di sostegni. Certo, il deficit passerà dal -3,4% previsto nei vecchi documenti di finanza pubblica, al -4,5% della legge di bilancio, una piccola espansione per dare sollievo a famiglie e imprese che devono fare i conti col caro energia (ben 21 miliardi della manovra sono destinati infatti a contrastare i rincari energetici). Tuttavia, se si prende come riferimento l’indebitamento netto strutturale, ovvero quello calcolato al netto delle misure una tantum e dell’andamento ciclico dell’economia, si ha una riduzione dell’1,3%, con il deficit che passa dal -6,1% del Pil del 2022 al -4,8% dell’anno prossimo.
Ma sulla crescita pesano anche i ritardi della "messa a terra" del Pnrr. Stando alle stime del governo per il 2023, su una crescita prevista allo 0,6%, lo 0,3% deriva dal Pnrr, mentre l’altro 0,3% dalla manovra. Senza questi impulsi, insomma, l’Italia sarebbe in stagnazione. Il tutto mentre l’inflazione, che nell’Eurozona risulta in discesa, essendo diminuita dal 10,1% al 10,6% a ottobre, in Italia rimane ancorata al 12,6%.
Per Confartigianato, il rischio per l’Italia è di precipitare in stagflazione, una vischiosa combinazione di recessione e inflazione che il nostro Paese non sperimenta da 47 anni. L’ultima volta fu infatti nel 1975, quando il Pil scese del 2,4% mentre i prezzi crebbero del 17%. Insomma, uno scenario da incubo. Eppure molto vicino alla situazione attuale. Anche perché la più elevata inflazione sperimentata dall’Italia è determinata da una crescita dei prezzi dell’energia che non ha confronto in Europa. A novembre i prezzi dei beni energetici sono aumentati del 68,1% (era +71,7% ad ottobre), un ritmo doppio rispetto al +34,9% della media dell’Eurozona. Si tratta dell’inflazione energetica più alta di tutta l’Unione europea, dopo il marcato rallentamento registrato nei Paesi Bassi.
Nel dettaglio, a novembre l’indice dei prezzi dell’energia elettrica in Italia è salito del 174,8% (era 199,0% ad ottobre) a fronte del +39,6% registrato in Eurozona. C’è poi un un ampio divario anche per i prezzi del gas, che in Italia salgono del 96,5% rispetto al 67,0% della media europea. L’impatto sui bilanci di famiglie e imprese italiane è molto più pesante che altrove. Nei primi undici mesi del 2022, infatti, l’indice dei prezzi di elettricità, gas e altri combustibili in Italia è cresciuto del 81,7% rispetto allo stesso periodo del 2021, in Germania del 33,2% mentre in Francia la crescita si ferma al 18,8%. Ma l’andamento dei prezzi dell’energia mette in pericolo anche la competitività delle imprese italiane.
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Stando all’analisi condotta dal Think thank Bruegel, gli interventi contro il caro energia in Germania ammontano al 7,1% del Pil contro il 5,1% dell’Italia, nonostante il fatto che l’inflazione energetica tedesca sia di 28 punti percentuali inferiore a quella italiana (a novembre pari, rispettivamente, al 40,1% e al 68,1%). Va detto che qualche segnale positivo inizia a registrarsi. La stretta portata avanti dalle banche centrali di tutto il mondo, unita alla recrudescenza del Covid In Cina, sta sgonfiando la pressione dei prezzi internazionali di energia e materie prime. Gli ultimi dati Istat sul commercio estero, infatti, mostrano un calo della bolletta energetica dovuta a una diminuzione della domanda e dei prezzi all’importazione. A ottobre, il valore delle importazioni di energia è aumentato del 57,5%, in decelerazione rispetto al +145,1% di settembre. Un dato che dipende dal dimezzamento della crescita dei prezzi (67,1% rispetto al +144,1% a settembre) e dalla riduzione del 5,8% dei volumi importati (+0,4%a settembre).