Roma, 11 ottobre 2024 – Un recente studio sui distretti manifatturieri italiani evidenzia i cambiamenti intervenuti nella loro struttura produttiva negli ultimi venti anni, in relazione soprattutto alle intense pressioni competitive internazionali registrate durante la crisi finanziaria del 2008 e nel corso della pandemia e del successivo shock energetico.
Tra le tendenze emerse più evidenti c’è il balzo dell’indice di patrimonializzazione nelle imprese, più che raddoppiato (dal 15,3% del 1998 al 32,3% del 2022) per effetto del periodo di crisi 2008-2013 e delle conseguenti misure di sostegno attivate, fra le quali l’Aiuto alla crescita economica (ACE) e cioè la possibilità avviata nel 2011 per le aziende di usufruire nei periodi d’imposta successivi delle eccedenze pregresse non utilizzate a riduzione del reddito, con l’obiettivo di incentivarne la capitalizzazione. Nello stesso periodo è aumentato anche, e più che proporzionalmente, l’indice di liquidità delle imprese che risulta addirittura più che triplicato.
Dopo vent’anni il tessuto produttivo delle aziende italiane appare dunque più solido per l’effetto combinato della più che raddoppiata patrimonializzazione e delle più che triplicate disponibilità liquide. Le imprese hanno progressivamente ridotto i propri debiti finanziari, ulteriormente diversificato le fonti finanziarie e ridotto così la dipendenza dal credito bancario. Le imprese ad elevata patrimonializzazione hanno mostrato maggiore propensione all’investimento, maggiore produttività del lavoro e più ampia diffusione di leve strategiche quali brevetti, marchi, certificazioni, investimenti esteri diretti ed esportazioni. Il rafforzamento della base patrimoniale emerge dunque come fattore fondamentale nel determinare la continuità delle imprese nel lungo periodo: l’uscita dal mercato negli ultimi anni riguarda infatti soprattutto quelle realtà imprenditoriali minori e più fragili finanziariamente.
L’ACE è stato tuttavia soppresso a partire da quest’anno, e c’è il rischio che il processo di riequilibrio della struttura finanziaria delle aziende in corso da oltre un decennio possa risentirne in modo importante. Sarebbe pertanto opportuno per le PMI reintrodurre questo strumento in modo da favorire nuovamente gli investimenti delle aziende in capitale di rischio, rafforzarne la patrimonializzazione, creare occupazione e promuovere la crescita economica e sostenibile, insieme a tanti altri vantaggi ottenibili. Vediamo perché.
L’ACE per le PMI può innanzitutto stimolare gli investimenti in beni strumentali e nell’innovazione, aumentando la competitività generale del sistema produttivo. Maggiori investimenti portano in genere a una maggiore produzione e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Una politica fiscale in grado di supportare gli investimenti può contribuire a una maggiore stabilità economica, rendendo le aziende più resilienti di fronte alla crisi.
Le PMI hanno inoltre spesso difficoltà a reperire capitali per lo sviluppo: grazie all’ACE potrebbero beneficiare di maggiori risorse per modernizzare i propri processi produttivi e così crescere. Così come una normativa fiscale favorevole potrebbe rendere il nostro Paese più attraente per gli investitori stranieri e aiutare le aziende italiane ad investire di più in ricerca e sviluppo, con risultati positivi in termini di innovazione e competitività internazionale: tutti questi fattori avrebbero un impatto finale favorevole e importante sulla crescita economica.
Nella stessa direzione della crescita, in aggiunta all’ACE per le PMI, potrebbero andare altri incentivi alla patrimonializzazione, misure volte a rendere strutturale il credito d'imposta per la quotazione delle piccole e medie imprese e più in generale a favorire l’afflusso di risorse verso l’economia reale sia dai risparmiatori che da investitori istituzionali come i fondi pensione.
* vicepresidente nazionale PI Confindustria