
Un estratto dell’intervista all’ad di Unipol dal libro ’Manuale di sopravvivenza economica’ di Annalisa Bruchi e Carlo D’Ippoliti
di Annalisa Bruchi *
Carlo Cimbri, ad Unipol: parliamo dell’Italia: siamo ricchi o siamo poveri?
"Pensiamo di essere ricchi; per meglio dire: pensiamo di essere più ricchi di quello che siamo. Da tanti anni il nostro tenore di vita è più alto di quello che potremmo permetterci in rapporto alla ricchezza che produciamo. I nostri figli crescono con false sicurezze, più grandi rispetto a quello che in realtà noi possiamo promettere loro e che, soprattutto, possiamo mantenere".
Tanta gente fa fatica ad arrivare a fine mese. L’occupazione è ai massimi storici, ma il lavoro è povero.
"In realtà noi, come tutte le economie dei Paesi avanzati, viviamo da anni con crescita modesta o decrescita. (...) Certo, in valore assoluto il Paese è cresciuto; ma in termini relativi si è impoverito perché altri sono cresciuti di più o molto di più. Questo è un tema che riguarda l’intera Europa, ed è un portato anche della globalizzazione. (...) Il primato tecnologico e di conoscenza che avevamo, quello che ha consentito all’Europa di essere un continente dominante in passato, oggi non c’è più.
Una visione pessimista...
Realista direi. (....) L’Italia è gravata da un pesante fardello di debito pubblico. Se uno è gravato dai debiti, la sua autodeterminazione si riduce. Se sei indebitato nella vita, fai quello che ti dicono di fare le banche, non fai quello che vorresti fare. Per recuperare la piena sovranità ed essere libero non dovresti avere debiti con nessuno. (...) Per ridurre il debito non c’è altra strada che alzare la produttività, produrre di più, beni a maggior valore aggiunto, produrli a costi competitivi e quindi essendo efficienti. Non c’è altro modo".
In molti ci hanno provato, ma il debito continua ad aumentare.
"Siamo arrivati a tremila miliardi. Cosa serve all’Italia per ridurre il debito? Sradicare la chimera dell’assistenzialismo. Rimettere al centro il lavoro. Il lavoro come elemento centrale della dignità umana, il lavoro come strumento per progredire, per salire sull’ascensore sociale, per dare prospettive ai figli. Mi ha colpito all’epoca del Covid vedere come il dibattito mediatico fosse tutto incentrato su come poter fare sport, poter portare fuori il cane, poter fare vita sociale... E il lavoro? Come tornare rapidamente a lavorare? E oggi, portato di questa epoca, come conciliare i tempi vita/lavoro. (...) I nostri figli si troveranno a competere con miliardi di indiani e di cinesi che non vengono educati alla conciliazione dei tempi vita/lavoro. Vogliamo educarli a competere con loro e vincere?
Altro fattore. Il merito. La vita è competizione. Che piaccia o no. O vinciamo o perdiamo. E il benessere normalmente lo ha chi vince (...). Dobbiamo educare i ragazzi al merito. Fin da piccoli. Chi fa meglio, chi fa di più, va premiato ed elevato nella considerazione sociale. (...) Non vediamo come la nostra formazione sta scivolando verso un deterioramento costante".
* Giornalista, dal 2020 conduce su Rai 3 il programma quotidiano di economia “ReStart“