Sabato 27 Luglio 2024

Cos'è l’impronta idrica e quanto vale lo spreco dell'acqua

Come e quanto viene sprecata l’acqua dolce: l’importanza della consapevolezza grazie all’impronta idrica. Di cosa si tratta e come viene calcolata

Cos'è impronta idrica - Crediti iStock Photo

Cos'è impronta idrica - Crediti iStock Photo

Roma, 22 marzo 2024 – Quasi tutto quello che facciamo nella nostra normale routine richiede l’impiego, anche indiretto, di acqua. Ciò che mangiamo, utilizziamo, indossiamo o compriamo necessita infatti di acqua per essere prodotto, con tutto quel che ne consegue in termini di utilizzo idrico e di possibili sprechi. Il buon utilizzo dell’acqua, infatti, è fondamentale per poter contrastare l’emergenza idrica che interessa il mondo, specie in alcuni Paesi che hanno un minor accesso alle quantità d’acqua che, invece, contraddistingue l’Occidente. La conoscenza dell’impatto ambientale di tutte le nostre azioni ci rende più consapevoli nel consumo, offrendoci la possibilità di razionalizzare i comportamenti. È in tal contesto che si inserisce con grande importanza il concetto di impronta idrica, indicatore ambientale che misura il consumo di acqua idrica. Inoltre, al fine di sensibilizzare le istituzioni mondiali e l’opinione pubblica sull’importanza di ridurre lo spreco idrico, le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata mondiale dell’acqua che ricorre ogni 22 marzo.

Impronta idrica, che cos’è

Come accennato in precedenza, l'impronta idrica è un indicatore ambientale che fornisce un dato concreto sui volumi di acqua dolce che vengono consumati, in modo diretto o indiretto, dall’essere umano per produrre i beni e servizi di cui necessità. Tale dato può essere riferito a un singolo individuo, a una comunità di essi o a un dato prodotto o azienda. Nella misurazione dell’impronta idrica, oltre ai volumi d’acqua dolce utilizzati, viene preso in considerazione anche l’inquinamento che genera il ciclo produttivo interessato, al fine di evidenziare quali potrebbero essere le sezioni su cui intervenire per ridurre l’impatto ambientale di un dato processo. Il primo a coniare il termina impronta idrica è stato Arjen Hoekstra, professore dell’Università di Twente nei Paesi Bassi, che, dando ai propri studi un risvolto nettamente più pratico, ha contribuito anche alla creazione del Water footprint network. Si tratta di una piattaforma collaborativa all’interno della quale vari soggetti, come aziende, università e società civile, condividono informazioni e dati al fine di promuovere una forma di sviluppo e produzione più sostenibile, che preveda cioè un utilizzo equo ed efficiente dell’acqua dolce in tutto il mondo.

Il calcolo dell’impronta idrica

L’impronta idrica è calcolata tenendo conto di tre componenti qualitative che la compongono, ovvero:

- l’acqua verde, cioè quella piovana che evapora o traspira, nelle piante e nei terreni. Questa componente fa esplicito riferimento all’utilizzo tipico delle aree agricole coltivate; - l’acqua blu, che fa riferimento al volume di acqua dolce che è stato prelevato dalla superficie e dalle falde acquifere, senza essere restituito. Le risorse superficiali e sotterranee vengono utilizzate specialmente per l’uso agricolo, domestico o industriale; - l’acqua grigia, componente che si riferisce alle risorse idriche richieste per diluire il volume di acqua inquinata e ricondurla al di sopra degli standard idrici prefissati.

Lo spreco d’acqua nel 2024

In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, l’Osservatorio internazionale Waste Watcher ha fornito il dato dello spreco idrico collegato al consumo alimentare domestico. Partendo dal Report italiano 2024 sulla quantità di cibo sprecato, si parla di 566,3 grammi per persona a settimana, vengono sprecati insieme al cibo circa 151,469 miliardi di litri d’acqua. Così come indicato dal report, si tratta di una cifra molto alta pari a circa 302,938 miliardi di bottiglie d’acqua che, se messe una vicino all’altra, coprirebbero la distanza che si farebbe facendo quattro volte il giro del mondo. Andrea Segrè, direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher, ha sottolineato l’importanza dello studio ricordando che solo attraverso la “consapevolezza” sarà possibile “raggiungere l’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030, come recita il target 12.3 dell’Agenda 2030 dell’Onu".